giovedì 29 ottobre 2009

Halloween: le vere origini di questa festività e il Culto dei Morti nelle tradizioni delle campagne italiane


Sommario:

I primi di novembre: una svolta nel ciclo annuale

- Le zucche intagliate
- Riti di accoglienza, propiziatori e difensivi
- Il "dodekaemereon"
- Le questue
- I cibi tradizionali

Non molto tempo fa in un forum di neopaganesimo si parlava di Samhain, il capodanno celtico, considerato dalle Streghe come una delle feste più importanti. Una ragazza intervenne definendosi "anti-Halloween", poichè la festa è troppo commerciale per i suoi gusti.
La sua osservazione non mi stupì più di tanto: negli ultimi anni in Italia c'è stato il boom di questa festività che la maggior parte delle persone crede sia stata importata dagli Stati Uniti, e ci si limita a vederla come se fosse un moderno carnevale, svuotato di tutti i suoi significati, in cui i bambini si travestono con costumi ispirati ai vari film horror e splatter e girano per le case dicendo "dolcetto o scherzetto"...
A quanto ho sentito persino molti insegnanti d'inglese ne parlano agli alunni come fosse una festa americana ed esclusivamente mondana, senza degnarsi di approfondirne le origini storiche e religiose precristiane.

In realtà Halloween è una festa molto più antica, e persino molto più italiana di quanto non si pensi... E' questa la scritta che appare sulla copertina di "Halloween. Nei giorni che i morti ritornano", un libro meraviglioso, scritto da Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi, edito da Einaudi.

Molti già conoscono le origini celtiche e la dinamica con cui Halloween è stata esportata negli Stati Uniti e con cui in seguito, sotto le spoglie di un evento puramente mondano, ha fatto ritorno in Europa e in Italia: prima che si affermasse il cristianesimo, la festività si chiamava Samhain ed era il capodanno tipico della religiosità celtica. Cadeva nel periodo in cui, conclusa la stagione dei raccolti, ci si preparava ad affrontare la parte fredda dell'anno, ed era principalmente dedicato al culto dei defunti. Con l'avvento del cristianesimo, a Samhain vennero sovrapposti i festeggiamenti dedicati a tutti i santi (Ognissanti), e si stabilì che la commerorazione dei defunti fosse una celebrazione ad essi secondaria. Halloween significa appunto "Sera di Ognissanti", ed è la contrazione di "All Hallows evening".
La festa fu importata negli Stati Uniti da emigranti irlandesi e scozzesi, e prese piede presso il nuovo mondo trasformandosi poi gradatamente nell'avvenimento mondano che tutti conosciamo.

Ma le sue vere origini potrebbero essere anche preceltiche. Il motivo per cui certe usanze (come quella di intagliare rape e zucche per farne lanterne, come le questue giocose di bambini e mendicanti e la dedicazione dei primi giorni di novembre al culto dei morti) si potessero riscontrare anche in vaste aree dell'Europa e dell'Italia che non vennero mai contaminate in modo significativo dalla cultura celtica, è da ricercare proprio nelle basi di questa interessante teoria.
Riassumerò alcune delle argomentazioni principali con cui Baldini e Bellosi ci portano a riconoscere nelle antiche tradizioni del nostro Paese le vere antenate dell'Halloween odierna.

I primi di novembre: una svolta nel ciclo annuale

In tutte le zone in cui la cultura agropastorale è preponderante, i primi di novembre segnano lo spartiacque stagionale fra la metà dell'anno in cui il clima è mite e quella in cui il clima si fa più rigido.
Ai primi di novembre la stagione del raccolto è ormai terminata e i prodotti sono stati
immagazzinati; gli armenti sono stati già da tempo ricondotti dai pascoli estivi sulle alture, fin nei villaggi, al riparo dal freddo; le ore diurne durano sempre meno, e si sente il desiderio di raccogliersi all'interno delle case, nell'atmosfera accogliente e rassicurante del focolare domestico.

Per tale motivo, con l'arrivo dei primi freddi, il pensiero va anche agli Antenati, che vengono accolti in casa con motivi tipicamente tradizionali: in molte regioni del nord-Italia, per esempio, era usanza aggiungere un posto a tavola, una sedia vuota destinata al caro defunto che avesse voluto condividere la cena con i parenti ancora in vita.

Un altro dei motivi per cui il Culto dei Morti assume una grande importanza, in particolare nelle zone dove si coltivano cereali, è che il periodo fra ottobre e novembre è quello in cui avviene la semina, e la speranza di un buon raccolto viene affidato alla dimensione sotterranea, nel grembo della terra in cui trovano dimora le divinità ctonie e gli stessi defunti.
Ecco che allora prendono forma i riti propiziatori con cui ci si assicura un raccolto abbondante per l'anno che verrà.

Destinatari e protagonisti di questi riti sono proprio i morti: anch'essi, come i semi, sono nella dimensione sotterranea in attesa di tornare a far parte del ciclo della vita (indipendentemente che si parli di reincarnazione, di cicli biologici o di rinnovamento dal punto di vista generazionale).

Bisogna considerare che i morti, nella tradizione e nel folklore, sono da sempre stati considerati entità ambigue.
Nel Culto dei Morti vengono celebrati sia gli Antenati, sia i morti in generale, temuti proprio perchè ormai fanno parte di una dimensione che, dal punto di vista empirico, per i vivi è ancora estranea.
Durante la notte si temeva di incontrare anime di persone morte di morte violenta, o anime che ancora vagavano per i villaggi, impossibilitate a lasciare la nostra dimensione terrena per via di qualche torto subìto o perpetrato in vita, o comunque per qualche conto lasciato in sospeso.
Questa credenza si può ricollegare all'antica immagine della "Caccia selvaggia", rintracciabile già nel Basso Medioevo, per cui si pensava che le anime di persone morte prematuramente non trovassero una precisa collocazione nell'Aldilà, e che fossero condannate a vagare in eterno riunite in una sorta di schiera volante che travolgeva tutto ciò che trovava sulla sua strada, urlando e sibilando in modo spaventoso.
Questo mito, nonostante gli sforzi da parte della Chiesa che cercò di collocare le anime inquiete nel purgatorio, sopravvisse fino agli inizi del ventesimo secolo, e restò diffuso soprattutto nelle credenze dei montanari delle Alpi.

Ecco che allora le usanze tipiche della tradizione di Ognissanti in Italia assumono tutte un duplice significato: quello devozionale, e quello di placare le entità incontrollabili impersonate dai morti, che nel periodo di novembre, quando i confini fra la dimensione terrena e quella ultraterrena sembrano assottigliarsi, tornano a farci visita nelle nostre case.
Vediamole una per una.

Le zucche intagliate

Nell'usanza di intagliare le zucche, dando loro un aspetto insieme grottesco e rassicurante (una lanterna allegra e luminosa nella forma di un teschio stilizzato) possiamo già riconoscere un rito apotropaico, atto cioè ad allontanare le presenze più inquietanti e paurose con la loro stessa rappresentazione.
Nel libro vengono riportate testimonianze varie che confermano che la zucca-lanterna di novembre (una variante era la rapa-lanterna) era già diffusa in molte regioni italiane, sia al nord che al sud, ancora prima che in America venisse importata Halloween.

Parlando con i miei suoceri (il signor Mario è piemontese, la signora Costanza è sarda), ho avuto conferma che sia in Piemonte sia in Sardegna la notte di Ognissanti si mettevano dei lumini alle finestre perchè i cari defunti potessero trovare la via di casa.
Chi decideva di utilizzare la zucca-lanterna lo faceva sia per far luce ai propri Antenati, durante il loro viaggio di ritorno, sia per scacciare gli "spiriti vendicativi", considerati molesti e pericolosi.

Spesso le zucche intagliate venivano lasciate di notte ai bordi dei campi, sui muretti e vicino ai crocicchi: si diceva che servissero a spaventare le streghe e gli spiriti malvagi, ma il più delle volte a esserne terrorizzati erano gli stessi viandanti che passavano di lì!

Dopo la festività le zucche venivano distrutte per simboleggiare la cacciata delle forze inquietanti che avevano rappresentato, e la loro distruzione veniva accompagnata da rumori di vario genere, come grida allegre, canti e scampanii.

Riti di accoglienza, propiziatori e difensivi

Nelle campagne italiane erano inoltre diffusi i riti di accoglienza per i defunti, come quello di aggiungere un posto a tavola o di lasciare cibo e bevande sul tavolo all'ora di andare a dormire, o come quello di lasciare il focolare acceso durante la notte e di alzarsi prestissimo la mattina del 2 novembre per cambiare le lenzuola dei letti in modo da far posto ai defunti che tornavano a riposarsi dopo il loro lungo viaggio dall'eternità.

Anch'essi hanno un duplice significato: oltre alla dimostrazione di affetto e di devozione da parte dei vivi, l'accoglienza veniva vista come un rituale di scongiuro, e innumerevoli erano le precauzioni da prendere per evitare eventuali ritorsioni da parte degli stessi defunti: bisognava, per esempio, evitare assolutamente di "ferire" il pane con forchette e coltelli (onde evitare di essere a propria volta feriti, anche mortalmente), o di alzarsi dal letto durante la notte, perchè l'incontro con le anime trapassate, anche se appartenenti ai propri antenati, poteva essere pericoloso per la propria incolumità.

Sempre mia suocera, la signora Costanza, mi diceva che quand'era piccola lei e le sue sorelle avevano terrore di alzarsi durante la notte, perchè temevano di incontrare qualche familiare defunto che era tornato a casa per mangiare gli avanzi che la loro mamma aveva lasciato in cucina.

Il "dodekaemeron"

Nel loro libro Baldini e Bellosi mettono in evidenza come, nonostante il calendario liturgico avesse fissato la data della commemorazione dei defunti al 2 di novembre, nelle campagne il culto dei morti e i festeggiamenti per l'arrivo del nuovo ciclo annuale si estendevano in realtà in un arco di tempo che andava dal primo di novembre a quello che poi venne identificato con il giorno di San Martino.

Dodici giorni in cui, oltre ai cambiamenti climatici, si verificavano anche le scadenze dei fitti agrari, i rinnovi dei contratti di mezzadria e i traslochi rurali; dodici giorni che, oltre ai riti propiziatori di vario genere, venivano anche considerati ideali per varie pratiche di divinazione, come l'osservazione del fumo dei falò con cui si bruciavano le sterpaglie, o l'usanza di nascondere monetine nei dolci tipici, o la credenza che gli stessi defunti si riunissero intorno al desco per parlare del futuro della famiglia.

In quest'arco di dodici giorni, insieme all'atmosfera raccolta e inquietante ispirata dal culto dei morti, si sovrapponeva anche quella più spensierata e carnevalesca dei festeggiamenti per il rinnovamento stagionale.
E in particolare nel giorno di San Martino, in molte regioni d'Italia si organizzavano nelle piazze giochi e scherzi di vario genere.
Il signor Mario racconta che in Piemonte, per la gente meno abbiente che non poteva permettersi un granaio, c'era l'usanza di raccogliere il granturco in una delle stanze della casa, in cui durante le serate di novembre le famiglie e gli amici si riunivano per sgranare le pannocchie, e dopo essersi raccontati qualche storia di paura, tutti bevevano vino novello e si scambiavano i pettegolezzi di paese, ridendo, scherzando e prendendosi in giro a vicenda.

Questo periodo di dodici giorni è definito "dodekaemeron", una sorta di sospensione magica del tempo che, nelle tradizioni delle antiche civiltà rurali, si ritrovava ogni volta che si verificava una svolta nel ciclo annuale, e che ha lasciato il suo segno inequivocabile anche una volta affermatosi il calendario liturgico.

Le questue

Le questue rituali, comuni a molte altre festività, erano un'altra delle peculiarità della notte di Ognissanti.

Gli autori del libro le distinguono in questue attive, dove i bambini e i poveri, in qualità di rappresentanti dei defunti, facevano il giro delle case del villaggio per chiedere pane, fave e legumi bolliti o piatti di minestra, e questue passive in cui i generi alimentari venivano lasciati, sempre per onorare i defunti, come offerta in qualche luogo pubblico o di passaggio.

Ancora la signora Costanza mi raccontava che lei e i suoi amichetti andavano in giro per i rioni, a bussare di casa in casa gridando "Ai Morti! Ai Morti!", e qualcuno offriva loro mandarini, papassini e castagne bollite, qualcun altro invece gettava in testa ai piccoli visitatori dei catini d'acqua fredda.

Una mia amica di origine siciliana mi ha detto che invece dalle sue parti la sera di Ognissanti è usanza lasciare in un angolino della casa le scarpe vecchie dei bambini, per poi fargliene trovare un paio nuovo la mattina seguente, pieno di dolciumi e caramelle, che rappresentano un omaggio da parte dei defunti.

Anche nel libro c'è un riferimento a questa usanza, una sorta di questua passiva presente non solo in Sicilia, ma anche in altre parti del Sud Italia. Secondo la tradizione, gli Antenati premierebbero così i bambini che si sono comportati bene, e questo simboleggia l'atteggiamento protettivo che essi hanno nei confronti dei più piccoli.

I cibi tradizionali

Gli autori si soffermano anche ad analizzare la simbologia dei cibi tipici della tradizione nostrana (le fave e i ceci bolliti sono considerati il "cibo dei morti" per eccellenza) e dei dolciumi, che con i loro nomi particolari, come gli "ossi di morto" in Romagna (qui a Borgomanero si chiamano "ossa da mordere", mia mamma me li comprava sempre quand'ero bambina), sono densi di significato simbolico: mangiare in senso figurato una parte anatomica del defunto significa entrare in comunione con le potenti divinità manistiche che esso rappresenta, e nello stesso tempo riportarlo in vita attraverso il proprio corpo.

L'Halloween importato dall'America degli ultimi dieci-vent'anni, invece, non ha dolci tipici, se non quelli anonimi di produzione industriale.


Nella prima parte del loro meraviglioso libro-viaggio Baldini e Bellosi approfondiscono dal punto di vista antropologico tutti gli aspetti di questi dodici giorni speciali, mentre nella seconda parte ci portano a conoscere tutte le tradizioni nostrane esplorandole regione per regione, fra usanze tipiche, storie, leggende, da quelle tipicamente montane a quelle di mare, in un excursus davvero appassionante fra racconti di paura e rimembranze di una festa che in realtà ci appartiene da millenni...
E' strano però: qualche giorno fa, quando vidi che l'anziana proprietaria del negozietto di via Sant'Antonio (la frazione di Fontaneto d'Agogna dove abito io) vendeva marschmallows a forma di zucca e dolcetti a forma di fantasma, le chiesi se ricordasse come una festività simile ad Halloween già esistesse dalle nostre parti, tanto tempo prima. Lei mi rispose:"Ah, no! Questa festa è venuta di moda solo ultimamente... io prima non ne ho mai sentito parlare."
Forse ha risposto così perchè Halloween è diventata talmente irriconoscibile rispetto alle antiche tradizioni italiane, che a prima vista è ormai impossibile identificarla con esse e riconoscervi le nostre radici...



Le prima e la terza foto che illustrano questo post sono tratte dall' Album di Talba su Flickr, e s'intitolano "Pumpkin ghost" e "The Apparition". La seconda foto è tratta dall' Album di Selene Farci su Flickr e s'intitola "Valle" (ho eliminato la cornice nera perchè si accordasse con il resto delle immagini). La quinta foto è tratta dall'Album di CarloAlberto su Flickr e s'intitola "Il falò di San Michele". La sesta foto è tratta dall'Album di Degra su Flickr, e s'intitola "Ossa da mordere". La foto con le due zucche intagliate l'ho fatta io, e le zucche sono state intagliate da me e dal mio ragazzo Jimmi. L'ultima immagine è un disegno fatto con Paint da Jimmi, e s'intitola "Zukka".

sabato 24 ottobre 2009

Una tecnica interessante per interpretare i propri sogni


Esistono diversi modi per interpretare i sogni che facciamo. Molto dipende anche dal ruolo che assegnamo loro nella nostra vita. 

Molti affermano che il sogno sia esclusivamente una proiezione delle nostre paure, dei nostri desideri e delle nostre manie, e gli danno un'importanza relativa, come se fosse una versione caotica degli eventi che abbiamo vissuto nei giorni precedenti, o addirittura negli anni passati, come se il cervello li avesse rielaborati in un modo disordinato, assurdo e irreale. Io credo che il sogno sia molto più di questo.

Spesso si tende ad attribuire ai sogni le interpretazioni popolari. Purtroppo non ne conosco molte, salvo quella che quando si sogna la morte di un conoscente tutt'ora in vita gli si allunga la vita, che perdere i denti dovrebbe significare la morte imminente di un parente, che se un caro defunto ti invita a partire con lui, presto anche tu lo raggiungerai nell'"aldilà". Sarebbe interessante approfondire l'aspetto delle interpretazioni tradizionali, perchè, come nel discorso delle fiabe, anch'esse si rifanno ad archetipi propri dell'inconscio collettivo, e analizzarne il significato simbolico potrebbe rivelarci molto sulla natura dei sogni. Quindi, se conoscete qualche credenza popolare legata all'interpretazione dei sogni, postatela pure nei commenti. 

Io credo che il sogno, oltre a rispecchiare le nostre ansie e i nostri desideri, sia anche il momento in cui il nostro Sè interagisce liberamente con tutte le altre realtà dell'universo, nello spazio e nel tempo, nella grande trama che unisce tutte le esistenze.

Il nostro Sè, durante il sonno, è in grado di svincolarsi dalla realtà tangibile, dalla quotidianità che, pur fornendoci tramite le esperienze di ogni giorno il "materiale" e le sfide su cui lavorare per evolvere, troppo spesso rischia di intrappolarci in un andirinvieni ripetitivo e monotono, che se viene vissuto come fine a sè stesso immeschinisce e impoverisce la nostra anima.

Il nostro Sè, nei momenti in cui è lasciato libero di espimersi e di viaggiare nelle varie dimensioni spazio-temporali, è in grado di fornirci delle informazioni e dei messaggi importanti. Il sogno (come certi tipi di visualizzazioni e come i viaggi sciamanici) è uno di quei momenti. Il Sè riveste un po' il ruolo del colombo viaggiatore.

Innanzitutto è importante ricordare i sogni che facciamo. Un metodo efficace? Quando siamo a metà fra lo stato di coscienza ordinaria e il dormi-veglia (in pratica quando incominciamo a sbattere le palpebre per il sonno e ci prepariamo a spegnere la luce sul comodino), dovremmo cercare di esprimere (ad alta voce o metalmente) la volontà di ricordare i nostri sogni l'indomani. E' un po' come raccomandare al nostro Sè di portare indietro i messaggi e le esperienze che vivrà durante il suo viaggio in modo integro e riconoscibile. Come dare istruzioni al nostro piccione viaggiatore. 

Quando ci svegliamo e il sogno è ancora fresco e vivo nella nostra mente, dobbiamo sforzarci di trascrivere tutto quanto ricordiamo, eventi e sensazioni. Se non lo facciamo, il sogno rischia di svanire, o di sopravvivere troppo frammentato. Questo ci indurrebbe a riempirne arbitrariamente le lacune, per trasformare il sogno in una sorta di filmato mentale che abbia un capo e una coda (per come li intendiamo nello stato di coscienza ordinaria), ma sfalseremmo sicuramente il vero messaggio del sogno. 


Leggendo "Il Sesto Senso" di Stuart Wilde, ho trovato una tecnica interessante per interpretare i messaggi che il nostro Sè ci comunica durante l'attività onirica. L'autore di questo libro attribuisce questo metodo a Fritz Perls, uno psicoanalista tedesco che ha dato un notevole contributo nell' ambito della psicoterapia gestaltica.

E' molto semplice, ma bisogna avere a disposizione un po' di tempo e un luogo tranquillo per mettersi in uno stato meditativo e raggiungere così una bassa frequenza cerebrale. Non avrebbe senso interpretare razionalmente gli elementi del nostro sogno: bisogna lasciar parlare il nostro inconscio.  

Una volta raggiunta la condizione adeguata, si ripercorre il sogno con l'occhio della mente, cercando di impersonarne tutti gli elementi e di "farli parlare" come se fossero dei personaggi (un po' come fa Jodorowsky con gli Arcani Maggiori). 

Per spiegarvi meglio la tecnica di Fritz Perls vi farò un esempio. Nel 2000, tornando a casa in macchina, mia madre fece un tremendo scontro frontale con un furgoncino, provocato principalmente dalla sua stanchezza e dalla sua disattenzione (insegnava ancora alle medie, ed era la fine dell'anno scolastico). Dovette trascorrere una lunga degenza in ospedale. Una notte, nel reparto di fisiatria, fece un sogno strano, in terza persona.


La barca, la bara e la sposa

C'è un fiume. Sopra al fiume c'è una barca che scorre tranquilla seguendo la corrente. Sulla barca c'è una coppia di sposi, simile a quelle statuine di zucchero che si mettono sulle torte nuziali. Davanti a loro, una bara aperta e vuota. Una zoommata ci porta ad inquadrare il primo piano della sposa: da sotto la veletta si intravedono due belle labbra rosso fiammante, che sorridono apertamente. Lo sposo passa nettamente in secondo piano.

Un sogno un po' inquietante? Mia madre in seguito si riprese benissimo, durante le terapie di riabilitazione incontrò un uomo con cui ebbe una breve storia, ma la cosa principale fu che quel periodo di degenza fu da lei considerato "il suo periodo sabbatico": in quei due anni si ritemprò fisicamente e psicologicamente, sviluppò nuovi interessi artistici e riprese i contatti con molti amici che non vedeva da anni. L'esito positivo di questa vicenda fu sicuramente merito anche dell'atteggiamento fiducioso e ottimista con cui lei affrontò la cosa.

Ora, indipendentemente dal lieto fine di questa storia, vediamo come mia mamma avrebbe potuto interpretare il suo sogno.

Come primo elemento, si potrebbe impersonare la barca. Si comincia dicendo: "Io sono la barca del sogno di Xxx (nome di chi ha fatto il sogno). Rappresento (supponiamo) la sua condizione attuale. Galleggio tranquillamente, mi lascio trasportare con fiducia dalla corrente, senza opporre resistenza. Non è il momento di forzare gli eventi". Infatti sulla barca non c'è nessun rematore, nessuna vela che sfrutti la forza del vento, nessun timone. 

Un altro personaggio importante è il fiume. In genere, nell'immaginario collettivo, il fiume rappresenta lo scorrere della vita. Ma nel nostro lavoro è importante impersonare anche un simbolo che sembra scontato come quello del fiume.

Veniamo alla bara. "Io sono la bara del sogno di Xxx. Sono vuota. Sono stata preparata nel caso si fosse verificato un tragico epilogo, ma sono rimasta vuota." La bara può rappresentare le paure non solo di chi ha fatto il sogno, ma anche quelle di tutti i suoi cari: ricordiamo che il Sè, durante i sogni, è in grado di interagire anche con altri Sè, in particolare con i Sè di quelli che ci circondano e che ci amano. Di solito, quando succede una tragedia a un nostro parente, ci fasciamo la testa prima di rompercela. Tutti eravamo in ansia per mia mamma. Non solo temevamo che morisse, ma anche nel caso fosse sopravvissuta, che una volta uscita dalla rianimazione le sue lesioni sarebbero state molto gravi. Avevamo involontariamente preparato per lei una bara dove seppellire le sue gambe, la sua capacità di camminare, di essere autosufficiente e indipendente. Ma quella bara è rimasta vuota.

E la sposa con il sorriso fiammante? "Io sono la sposa del sogno di Xxx. Guardo quella stupida bara vuota con soddisfazione. Il mio sorriso è rosso, vivo, ricco di passione e di vitalità. Di fianco a me c'è un uomo, ma è più che altro un'ombra. La nostra relazione non è che una statuina di zucchero, da gustare al momento, e poi via, si va avanti! Io sono viva, felice e indipendente, e continuo a navigare".

Se vi viene spontaneo, durante il vostro dialogo con i "personaggi" del sogno potete rivolgere loro anche delle domande. Alla barca potreste chiedere dov'è diretta, per esempio, o alla bara potreste chiedere da chi è stata costruita e con che scopo...

Ora questo sogno è stato interpretato da me in modo abbastanza semplicistico, e specialmente col senno di poi. Ma era tanto per darvi un'idea di come decodificare il messaggio contenuto nei nostri sogni con la tecnica sopra descritta. 

Mia madre ha fatto davvero questo sogno, ma non ebbe l'occasione di provare questo metodo. Anche se non posso affermarlo con certezza, credo che se l'avesse fatto avrebbe scoperto più o meno queste cose, e comunicando con il proprio inconscio anche molto di più. 

E' stato un sogno premonitore? Oppure il suo Sè voleva semplicemente tranquillizzarla su quello che sarebbe stato? Le aveva riportato la situazione così com'era? Voleva darle un consiglio su come affrontarla? Secondo me sono tutte queste cose insieme.

Come abbiamo visto, il Sè, durante l'attività onirica, viaggia attraverso lo spazio e il tempo, perchè il tempo e lo spazio sono parte del grande intreccio di energie che compenetrano l'Universo. Quello che noi chiamiamo "futuro" appare chiaramente al nostro Sè, come a noi appare chiaro il presente durante la vita di tutti i giorni. Ecco perchè molto spesso si dice che i sogni rivelano anche ciò che accadrà.


La seconda e la quarta foto di questo post sono state prese dall'album di Talba su Flickr e s'intitolano "Seat by the sea" e "Sunset by the small river". L'ultima è un particolare della foto "Trip to heaven", sempre dall'album di Talba su Flickr.  La prima e la terza foto, invece, sono state scattate da me durante una passeggiata con i cani, domenica 18 ottobre 2009.

lunedì 19 ottobre 2009

Il rosmarino: una delle piante magiche per eccellenza


Sommario:

-Il rosmarino nell'erboristeria casalinga

-Il rosmarino nella tradizione magica

-Sintonizzarsi con l'energia del rosmarino

 

Il rosmarino è una pianta che amo. E' sotto gli influssi del Sole, e il suo nome significa "rugiada marina", forse proprio perchè cresce spontaneamente in prossimità del mare.

Io l'ho piantato in giardino, accanto all'alloro, e tutti e due stanno crescendo di anno in anno: l'alloro è sempre più alto, pieno, maestoso (ho preferito lasciare che s'innalzasse come l'albero che è, invece che limitarlo al ruolo di siepe), e il rosmarino sta invadendo in larghezza gran parte dello spazio che avevo destinato alle altre aromatiche, quindi mi converrà presto ampliare i confini della rete che avevo messo per evitare che i miei cani frequentassero l'orticello (i cani sono dei veri intenditori nel campo dell'erboristeria). O, meglio ancora, potarlo in maniera radicale...

Il rosmarino è profumato e piacevole a vedersi. Come molte piante aromatiche, è autonomo, non ha bisogno di grandi cure, non attira parassiti, e tiene lontani questi ultimi anche dalle piante che gli crescono vicino. E anche se predilige le zone assolate e i terreni sabbiosi, cresce bene in ogni zona d'Italia (da me il terreno è argilloso).

Ho sempre pensato che per imparare ad apprezzare una pianta dal punto di vista magico bisogna approfondire la sua conoscenza anche dal punto di vista erboristico, perchè anche nelle piante, come in tutti gli esseri viventi, la dimensione fisica, energetica e spirituale sono strettamente legate, se non una cosa sola. Per questo prenderemo prima in esame brevemente il suo impiego in erboristeria, starà poi a voi approfondire quest'aspetto consultando libri specializzati.

Il rosmarino ha una grande varietà d'impieghi in erboristeria, ma spesso questi vengono ignorati proprio perchè è un'erba tanto comune, presente in tutte le dispense e considerata come semplice aromatica, il cui uso viene circoscritto solo nel campo culinario.

Una delle cose che amo di più nel rosmarino è la sua utilità negli stati di depressione ed esaurimento psicofisico, che fa di lui una pianta che riporta la vitalità e che dona forza, che ristora e che consola.


Il rosmarino nell' erboristeria casalinga

Le sue innumerevoli virtù stanno nei principi attivi, che sono in particolare: tannino, olio essenziale, pinene, canfora, e che gli conferiscono proprietà eccitanti, toniche, stimolanti, carminative, emmenagoghe, disinfettanti, aromatiche.

Foglie e fiori vanno colti nel periodo balsamico: primavera ed estate.

Non vi elencherò tutti le preparazioni che è possibile fare con il rosmarino. Esso infatti è utile per gli ascessi, per l'asma, per il catarro bronchiale, per la ricrescita dei capelli, come diuretico, per l'emicrania, per la febbre, per le ferite, per l'idropisia, per il catarro intestinale, per i reumatismi, per la stanchezza e per la digestione. Dovrei scrivere un intero capitolo di erboristeria, e, oltre a non averne le competenze, non è questo il mio scopo.

Vi segnalerò le preparazioni che uso più spesso, e che potrebbero tornare utili anche a voi.

Quando in casa manca il Lasonil

Il Rosmarino è efficacissimo contro botte e contusioni. Con esso si può preparare un unguento che sostituirà degnamente qualsiasi preparato farmaceutico. Io l'ho usato parecchie volte.

E' sufficiente tritare finemente le foglie di rosmarino, sia secche che fresche, e metterne un cucchiaio in un pentolino da latte. Aggiungete un giro d'olio d'oliva, e accendete il fuoco a fiamma bassa. Bastano pochi secondi perchè il preparato si scaldi: non deve friggere. Spalmate l'unguento così ottenuto su una garza o su un largo pezzo di cotone, coprite interamente la parte interessata e fasciate per tener ben ferma la medicazione. Basta tenerla su due o tre ore. Tenerla tuta la notte è inutile, e potrebbe causare l'indesiderata crescita di peli superflui dove avevate messo la medicazione (ricordate che il rosmarino favorisce anche la crescita dei capelli?). Se applicate quest'unguento la sera per un paio d'ore, il giorno dopo la parte interessata si sarà notevolmente sgonfiata, e non vi farà più male!

Per i problemi respiratori

Se avete i bronchi pieni di catarro, vi basterà gettare una manciata di foglie secche di rosmarino sulla piastra dove di solito cucinate bistecche e piadine. Deve essere calda, ma non rovente. Aspiratene i fumi.

Per l'esaurimento psicofisico

Potete preparare un gustoso vinello aromatico, versando un litro di vino rosso in un vaso e aggiungendovi 25 gr. di foglie di rosmarino, 20 gr. di foglie di salvia e 15 gr. di miele. Mettete a scaldare il vaso a bagnomaria per 20 minuti, poi lasciate riposare il liquido finchè non si raffredda. Filtrate, versate in una bottiglia e bevetene un bicchierino prima di ogni pasto. Se siete in stato di gravidanza evitate di assumere questo preparato. 

Un bagno per la stanchezza

Preparate un decotto per il bagno facendo bollire una manciata di foglie di rosmarino in un litro d'acqua. Dopo la bollitura aggiungete un pugno di sale e, se ne avete, 10-15 gocce di olio essenziale di lavanda. Versate il decotto nella vasca piena d'acqua calda: io lo trovo rilassante e riposante, mi dona forza e vigore anche quando sono proprio a terra.

Per la digestione

Questo è un decotto che bevo spesso, perchè ho problemi di stomaco. Fate bollire per un minuto in un pentolino la quantità d'acqua corrispondente a una tazza, con dentro 10 gr. di foglie di rosmarino e 5 gr. di foglie di basilico. Filtrate, addolcite e bevete dopo ogni pasto.


Il rosmarino nella tradizione magica

Anche per quanto riguarda la tradizione magica possiamo trovare nel rosmarino delle proprietà analoghe a quelle medicamentose. Per tutti gli incantesimi di guarigione il rosmarino può essere utilizzato tenendo presente gli usi che abbiamo elencato prima, ma c'è di più.

Proprio per le sue proprietà balsamiche e rinvigorenti che hanno una risonanza anche dal punto di vista energetico, è a buon diritto considerato efficace nei rituali di protezione, per la purificazione degli ambienti, per scongiurare il male e per benedire la casa e l'attività lavorativa. Si dice che tenerne un rametto sotto il cuscino assicura un buon sonno ristoratore. Il suo infuso è utile anche per lavarsi le mani, perchè scarica le energie e libera dagli influssi negativi accumulati durante una divinazione o un trattamento di pranoterapia.

Essendo una pianta perenne e sempreverde, è di buon augurio ogni volta che si incomincia un'attività o un rapporto, di qualunque tipo esso sia, e per assicurarsene la lunga durata. Viene utilizzato negli incantesimi per rafforzare la memoria e per conservare la giovinezza.

A proposito di giovinezza, c'è una leggenda su Isabella, Regina d'Ungheria, vissuta a cavallo fra il XIV e il XV secolo. Si narra che ella fece fare dal suo erborista un tonico a base di rosmarino e di altre erbe, che le donò un aspetto fresco e giovanile nonostante avesse più di settant'anni. Purtroppo l'autentica ricetta andò perduta nei secoli, nonostante fosse rinomata per la sua miracolosa efficacia. C'è chi dice che il vero potere di questa lozione si debba attribuire ai fiori di rosmarino fermentati nel miele, altri sostengono invece che tutto il merito vada ai fiori d'arancio (io avevo provato a far fermentare i fiori di rosmarino nel miele di castagno, mai poi finì che lo assaggiai e me lo mangiai tutto, perchè l'aroma e il sapore erano davvero speciali!).

Per gli antichi romani il profumo del rosmarino allietava i defunti e li accompagnava nell'oltretomba, e ancora nel XIX secolo veniva considerata una "pianta del ricordo": era usanza portare ai funerali rametti di rosmarino, oltre che margherite, fiori di linaria e salvia.

Vista la sua capacità di adattarsi a diversi climi e terreni, la sua caratteristica principale è senz'altro la versatilità: nella tradizione il rosmarino è considerato una delle piante magiche per eccellenza. In molti libri di Magia Verde e Stregoneria è indicato come sostituto adatto per qualsiasi ingrediente mancante.

Nel libro di Charles Leland "Gypsy Sorcery and Fortune Telling" si accenna a una leggenda in cui un gruppetto di Streghe, trasformatesi in gatti, parte in barca per una lunga e avventurosa spedizione, al solo scopo di raggiungere una terra lontana per cogliere il preziosissimo rosmarino.


Sintonizzarsi con l'energia del Rosmarino

Per fare Magia con le erbe non basta limitarsi a comprarle in erboristeria e poi seguire alla lettera le istruzioni di un libro di rituali e incantesimi. Bisogna conoscere a fondo la pianta con cui si vuole lavorare, e possibilmente coltivarla, coglierne le foglie e i fiori di persona e instaurare con lei un rapporto di reciproca empatia.

Se non avete un giardinetto per coltivare il rosmarino, vi consiglio di tenerne un piccolo esemplare in casa, magari in un vaso, in un posto in cui possa godere della luce del sole per la maggior parte del giorno. Utilizzatela, sia nell'erboristeria casalinga, sia in qualche semplice e spontaneo rituale di protezione e di purificazione.

Ma soprattuto comunicate con lei. Sembra una banalità, ma le piante in casa raramente vengono guardate per quello che sono veramente: degli esseri viventi che, come tutto ciò che è vivo, gradiscono interagire con altri esseri viventi. In Natura l'interazione fra terra e piante, aria e piante, sole e piante, acqua e piante, animali e piante, e persino fra piante e piante, è una cosa che avviene quotidianamente: gli uni hanno bisogno delle altre per sopravvivere, e viceversa. Ma una pianta in casa è isolata dal suo ambiente naturale, e a parte l'innaffiatura quotidiana, tende ad essere dimenticata, lasciata a sè stessa, come lo sono i tanti oggetti che la circondano.

Una pratica utile per sintonizzarsi con l'energia del rosmarino (o di qualunque altra pianta o albero) è quella di avvicinarsi, sfiorarla e cercare di percepire la vita che c'è in lei, la sua "personalità", il suo stato di salute. Coinvolgete tutti i vostri sensi: ammirate il verde cupo delle foglie alla base, e quello più acceso di quelle all'apice dei rametti, sentite il suo meravigloso profumo pungente e balsamico, tipicamente mediterraneo, tastate delicatamente le sue foglie rugose, assaggiatene il sapore amarognolo con la punta della lingua, ascoltate il fruscio contro le vostre dita...

Le piante, come tutti gli esseri viventi, hanno un'aura, e percepirne lo strato eterico, cioè quello più esterno, non è difficile. Se si avvicina pian piano una mano alla pianta si dovrebbe facilmente percepire una sorta di densità maggiore rispetto allo spazio circostante. Se la si guarda con la coda dell'occhio, anche dal punto di vista visivo i suoi contorni presentano una densità maggiore. Non sforzatevi di sentire chissà che cosa, di interpretare. Basta aprirsi e mettersi in ascolto, pochi minuti ogni giorno. Pian piano imparerete a comunicare con la pianta e a instaurare un rapporto di empatia con lei.

Questo vi aprirà le porte a una consapevolezza più acuta delle energie con cui lavorate quando utilizzate le erbe durante un rituale o un incantesimo, ma specialmente vi farà sentire parte integrante della vita che permea l'Universo.


Le foto che compaiono in questo post sono state scattate da me. La terza immagine, invece, s'intitola "La cucina delle Streghe", ed è un'incisione da "De lamiis et pythonicis mulieribus" di Ulrich Molitor, Colonia 1489. E' stata scannerizzata dal libro di mia proprietà "Streghe" di Tersilla Gatto Chanu, Newton & Compton Editori.

venerdì 16 ottobre 2009

"Storie di fantasmi" di Edith Wharton



Storie di vampiri, di lupi mannari, di fantasmi, di spettri e di case maledette, ho praticamente collezionato tutte le raccolte della Newton & Compton Editori, e in particolare ho apprezzato quelle curate da Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, grazie a cui ho conosciuto grandi autori come Nikolaj Vasil'evič Gogol' e Joseph Sheridan Le Fanu.

Ma in particolare sono una patita delle ghost stories che vanno dalla metà dell'ottocento agli inizi del XX secolo, di racconti come "Il fantasma perduto" e "La camera a sud-ovest" di Mary Wilkins Freeman, "Le tre sorelle" di William Wymark Jacobs, "L'ombra nell'angolo" di Mary Elizabeth Braddon, "Celui-là" di Eleanor Scott, "L'ultima casa in C... Street" di Dinah Maria Mulock. Tutti capolavori, secondo me, fra le storie sul soprannaturale.

In una delle raccolte citate rimasi colpita anche da un paio di racconti di Edith Wharton, l'autrice newyorkese vissuta a cavallo tra il XIX e il XX secolo, più nota per  i suoi romanzi ambientati nel New England, fra cui "The Age of Innocence" per cui vinse il premio Pulitzer (nel 1993 Martin Scorsese ne trasse il film "L'età dell'innocenza") e per "Ethan Frome", che la critica considera il suo capolavoro. Ma fu proprio grazie a quei due o tre racconti sul soprannaturale che qualche anno fa mi innamorai di lei e del suo stile.

In seguito seppi che Edith Wharton aveva scritto ben più di un paio di ghost-stories, e che amava esercitare la sua abilità in questo genere affascinante. Sono due le raccolte in cui lei riunì le sue storie di fantasmi: "Tales of men and ghosts" e "Ghosts". La prima, purtroppo, non è mai stata tradotta in italiano. La seconda è pubblicata in Italia con il titolo "Storie di fantasmi", ed è proprio il libro che intendo presentarvi in questo post.

Perchè i racconti di Edith Wharton sono così speciali?
Perchè lei è la regina della suspence. Perchè la suspence dura fino alla fine del racconto. Perchè il fantasma (se di fantasma vero e proprio si può parlare) non si rivela mai, ed è questa sospensione che si spinge oltre il finale della narrazione che fa rabbrividire.
Questo elemento nelle sue storie è una costante.

Inizialmente ci vengono presentati i protagonisti, in genere persone colte dell'alta borghesia, ironiche, dalla mentalità moderna, abituate a vivere in un contesto in cui il pragmatismo fa la parte del leone.
Vivono in case moderne, con caloriferi e corrente elettrica("Ognissanti), oppure ereditano antiche proprietà in cui cercano - invano, si scoprirà più tardi - di introdurre la funzionalità e il comfort moderno tipici del XX secolo ("Il signor Jones"). O ancora, sono dei viaggiatori ("Il trionfo della notte" e "Una bottiglia di Perrier"), o delle pratiche governanti trentenni - che nei primi del '900 e negli ambienti dell'alta borghesia erano ormai considerate vecchie zitelle - in cerca di un impiego ("Il campanello della cameriera"). Non troveremo mai le inverosimili protagoniste romantiche e coraggiose dei romanzi di Ann Radcliffe, nè gli stucchevoli moralisti vittoriani che popolano i lavori di Bram Stocker.

Le ambientazioni esterne e interne sono a volte in contrasto. Spesso la casa ha il ruolo di confortevole e caldo rifugio dalle intemperie esterne, ma presto si rivela una trappola ("Miss Mary Pask", "Il trionfo della notte"). Non in tutti i racconti è così, ma è certo che la magione svolge un ruolo importantissimo in ognuno di essi, perchè le sue stesse mura proteggono ciò che non dovrebbe essere e che non sarà mai svelato.

Dopo aver dipinto il protagonista con tratti veloci e sapienti, ci si trova quasi immediatamente di fronte all'anomalia. Ma non è una manifestazione eclatante. Non ci sono presenze... il mistero è nell'assenza... In fondo allo stomaco sentiamo che, come direbbe Stephen King, "qui c'è qualcosa di terribilmente... sbagliato..." .

In "Ognissanti" l'anziana pragmatica signora scopre che, una mattina, la servitù è improvvisamente scomparsa; in "Una bottiglia di Perrier" il protagonista fa un lungo viaggio per andare a trovare un conoscente, che al suo arrivo si rende misteriosamente irreperibile; in "Dopo" c'è un marito che, dopo una misteriosa visita, non fa più ritorno a casa; ne "Il Signor Jones" (il mio preferito) l'ereditiera cerca invano di sentirsi a casa propria nella nuova proprietà, perchè una misteriosa presenza-assenza, con la complicità dei domestici, vieta a qualunque estraneo di oltrepassare il portone d'ingresso, sia per entrare che per uscire, e custodisce il segreto di un tragico evento accaduto anni prima...

Un altro elemento che contribuisce alla suspence sono i personaggi secondari, in genere servitori, giardinieri, guardiani, cameriere, cuoche, governanti... il loro ruolo è quello di far sentire ancora più isolato il personaggio principale, sapendo e fingendo di non sapere. Sembrano voler proteggere un qualche mistero insondabile, ma si tradiscono con il loro stesso atteggiamento - un improvviso impallidire, un repentino cambio di discorso... Anche se rispettosi delle convenienze, dimostrano ostilità al nuovo arrivato, perchè la sua curiosità porta scompiglio in una realtà che, pur essendo prigionia, ha da tempo trovato il suo perverso equilibrio, e sconvolgerlo può essere molto pericoloso per tutti coloro che vi sono coinvolti.

Il racconto procede, accompagnato da una finissima analisi psicologica sui personaggi, fra ricerche e indagini, tra fatti ed eventi inspiegabili, che pian piano si ricollegano e generano l'illusione di avvicinarsi alla soluzione.

Il finale genera sconcerto. Perchè si arriva a realizzare l'impotenza del protagonista e di tutti gli altri personaggi di fronte a fatti accaduti anni prima, l'impossibilità di cambiare la realtà, di sciogliere la ragnatela in cui tutti sono inesorabilmente imprigionati. Non c'è risoluzione, a volte manca persino la tragedia finale, e quando c'è, non ha certo il ruolo di catarsi. Serve solo a confermare che tutto resterà sempre come sempre è stato.

I racconti di questa raccolta sono:
-Ognissanti
-Gli occhi
-Dopo
-Il campanello della cameriera
-Kerfol
-Il trionfo della notte
-Miss Mary Pask
-Stregato
-Il signor Jones
-Semi di melograno
-Una bottiglia di Perrier

Il volume "Storie di fantasmi" è edito da Biblioteca Economica Compton, curato da Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Traduzione di Gianni Pilo.



Le immagini di questo post sono state scannerizzate dal libro "Storie di fantasmi" di mia proprietà. L'autore della foto "Biglietto d'auguri scritto a lume di candela" non è identificato; la foto proviene da Archivi Alinari, Firenze.

mercoledì 14 ottobre 2009

Le fiabe popolari e il linguaggio archetipale



Qualche tempo fa, in un forum che frequento molto spesso, una ragazza introdusse un argomento che purtroppo non ebbe molto seguito, ma che personalmente mi intrigò molto. La discussione si incentrò più che altro sul linguaggio archetipico, ma era impostata in modo abbastanza generico.

Definiamo innanzitutto che cos'è l'archetipo.
In greco il termine "archétypon" significa: immagine primitiva, originale.
Composto da arché (origine di tutte le cose) e typos (modello, immagine).
La definizione da dizionario è: "primo esemplare, ciò che è all'inizio e funge da modello".
Per Kant l'Intellectus archetipus è l'intelletto divino, che non ha bisogno dell'esperienza sensibile per intuire la realtà.
La definizione che ci interessa di più ai fini del nostro discorso è però quella che ha dato Carl Jung: "L'archetipo è il contenuto dell'inconscio collettivo, le idee innate e la tendenza a organizzare la conoscenza secondo modelli predeterminati innati".

Nella prima parte di quella discussione ne vennero elencati ventidue. In realtà gli archetipi sono molto più di ventidue, ma leggendo quei primi mi vennero subito in mente gli Arcani Maggiori, è non è un caso se anche il percorso dei Tarocchi sia in realtà una sorta di alfabeto archetipico basato sulle immagini.
A quel punto il moderatore del forum intervenne elencando i sette typos di base da cui deriverebbero tutti gli altri archetipi: morte-rinascita, viaggio, femminile, maschile, nemico ed eroe, e il Sé, che interagisce con i primi creando gli altri archetipi.

Fin da piccola sono sempre stata un'appassionata di fiabe popolari, e appena sentii nominare quelle sette figure di base mi sovvennero subito le carte di Propp: per chi non lo sapesse Vladimir Jakovlevič Propp fu un linguista russo studioso di folklore che analizzò i meccanismi e le figure principali attorno a cui ruotano tutte le fiabe popolari del mondo. Ne ricavò 31 elementi circa, che vennero poi chiamati "le carte di Propp". Le carte di Propp vengono utilizzate ancora oggi nelle scuole a scopo didattico per far comprendere meglio i meccanismi su cui si basa la fiaba, uno dei generi letterari che ho sempre trovato più affascinanti.  

Mi ricordo di un tema sulla fiaba che scrissi con grande passione in prima media, mi pare, su Propp e su queste sue carte da me considerate quasi magiche. 
Se sono stata attratta da sempre dai racconti popolari, forse è proprio perchè inconsciamente già allora cercavo di scoprire i segreti del linguaggio archetipico, già sentivo il bisogno e l'urgenza di imparare a comprendere e padroneggiare un linguaggio che potesse mettermi in comunicazione con tutto l'Universo. Ogni volta che sentivo anche solo nominare le carte di Propp, mi sembrava di entrare in un argomento che aveva del magico.
A dodici anni mi ero letta e riletta le tre raccolte di Italo Calvino "Fiabe italiane"(Italia settentrionale, centrale, meridionale e insulare), e partendo da lì avevo incominciato ad appassionarmi in modo quasi maniacale alle fiabe popolari di tutto il mondo (quelle rumene, poi, mi avevano affascinato in maniera incredibile).

Ogni cultura ha archetipi riconducibili alle elaborazioni dei sette typos di base, e le fiabe popolari ne sono la dimostrazione. 
Proprio perchè non si può sapere esattamente quando sono nate, perchè sono state tramandate nelle generazioni e perchè ogni narratore che si accingeva a raccontarne una inevitabilmente variava, aggiungeva o toglieva dei particolari di volta in volta, le fiabe popolari utilizzano un linguaggio archetipico universale.
In esse manca la contaminazione del pensiero soggettivo di uno specifico autore, per questo possono essere definite a buon diritto delle fonti inesauribili di archetipi. Perchè gli elementi che le compongono sono delle costanti in tutto il mondo: fanno parte dell'inconscio collettivo.

Osservando gli elementi delle carte di Propp notiamo che la maggior parte delle fiabe è la cronaca di un' iniziazione : il protagonista, l'allontanamento da casa, il divieto imposto all'eroe (che ricorda molto da vicino il "Geiss", una costante nei miti Celtici), l'infrazione del divieto da parte dell'eroe, l'antagonista, la prova da superare, il superamento della prova, ecc... sono tutti elementi che ricordano molto da vicino i typos sopra indicati: morte-rinascita,  viaggio, femminile, maschile, nemico ed eroe. 
In alcune fiabe rumene (e chissà in quante altre che io non conosco neanche) avevo trovato addirittura la figura dell' Albero della Vita, un elemento cosmogonico comune ai miti di diversi popoli (Yggdrasil è il primo che mi viene in mente).
Nella fiaba russa che vi ho presentato in un altro post (vedi "Una fiaba popolare russa sul tema della Metamorfosi") viene affrontato il tema della metamorfosi e della sfida fra alunno e maestro, riconducibile al mito di Ceridwen e Gwion, eppure per quel che ne sappiamo in Russia non si ebbero mai contaminazioni di cultura celtica. Inoltre, fiabe popolari provenienti da diversissime parti del mondo si assomigliano fra di loro in una maniera impressionate.

Nei giorni in cui stavo sostenendo la discussione sul linguaggio archetipico, ne parlai con mia madre, perchè la cosa mi intrigava parecchio. Casualmente, proprio in quel periodo lei stava leggendo "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estès, una psicoanalista la cui opera mostra come anche le fiabe popolari, attraverso l'analisi degli archetipi e dei simboli che contengono, possono essere una medicina per l'anima. 
Io non lo sapevo, ma esiste anche una categoria di curanderi e curandere che utilizzano le storie per guarire.
In "Donne che corrono coi lupi" fiabe provenienti da ogni parte del mondo, dalla russa "Vassilissa e Baba Jaga" alla inuit "La Donna Scheletro", dall'africana "Manawee" alla germanica "Le Scarpette del Demonio", sono analizzate fino all'essenza per trovare gli elementi primari che sorreggono l'intera struttura del racconto, e mettere in evidenza la figura archetipica con cui l'essere umano è entrato in conflitto e che ha bisogno di riconoscere per poter guarire nel profondo dell'anima.

Quando più tardi mia madre mi prestò quel libro, vi trovai tutto quello che avevo intuito in quei giorni e cercato fin da bambina. Attraverso la passione maniacale che a dieci anni avevo per la fiaba, per un certo arco di tempo avevo tentato disperatamente di conoscere me stessa e di guarire le mie ferite. Ricordo come le trascrivevo e le analizzavo per mio conto, in una sorta di goffa e inconsapevole autoterapia, come prediligevo le fiabe dove l'eroe o l'eroina si scontra con lo strano, col macabro e l'inquietante, per realizzare che ciò che inizialmente fa paura è la premessa necessaria per risolvere l'enigma e arrivare a capo della propria iniziazione.

Esistono fiabe che affrontano il tema dell'esilio, altre quello della ricerca, dell'illusione, dell'inganno, della riunione con l'altra metà, del ritorno alle proprie radici (che non necessariamente coincide col ritorno a casa): ogni fiaba è un pozzo profondo millenni, da cui possono venire alla luce tutti gli archetipi esistenti.

Ogni fiaba è uno fra gli innumerevoli frammenti dello specchio della nostra anima.
Ogni fiaba può aiutarci a trovare il coraggio di riconoscere il nostro lato-ombra, di fronteggiarlo, di accettarne l'indispensabile esistenza.
Ogni fiaba, proprio come accade agli eroi che ne sono protagonisti, può guidare anche noi nel lungo viaggio per ritrovare le nostre radici.
Ma va scavata in profondità.


Le immagini di questo post sono state scannerizzate dal libro "Fiabe Romene di Magia" di Marin Mincu, RCS Libri S.p.A., Milano, di proprietà della Biblioteca Marazza di Borgomanero; l'autore delle illustrazioni non è citato nel libro. 

lunedì 12 ottobre 2009

Un esercizio energetico per arrivare alla fine di una giornata sfiancante


"Attirare in sè l'energia della Terra"

Oggi mi è venuta voglia di condividere un esercizio energetico, che in tantissime occasioni mi ha salvato dall'addormentarmi in piedi sul posto di lavoro (sono operaia di III livello in una rubinetteria), o dall'accasciarmi sulla sedia con la testa ciondolante quando seguivo qualche conferenza o convegno noioso (nella mia ditta sono rappresentante della sicurezza, e spesso devo partecipare a questo genere di eventi).

Io ho il vizio di andare a letto molto tardi, perchè la giornata lavorativa mi porta via otto ore, e nelle restanti devo partecipare a certe iniziative FIM, fare la spesa, sistemare la mia casa alla bell'e meglio, preparare la cena e così via... Così sono costretta a dedicarmi a me stessa e a quello che mi piace fare durante le ore notturne. E il giorno dopo crollo. Penso che questo sia un problema di molti, vero?

L'esercizio che sto per proporvi ha lo scopo di rinvigorirvi momentaneamente. Questo vuol dire che appena avete l'occasione di recuperare un po' di sonno (e vi consiglio di cercarvela al più presto), vi metterete a dormire, chiudendo un attimo la porta su tutto il resto: il sonno è una cosa fisiologicamente fondamentale, non se ne può fare a meno (è' quello che continuo a ripetere anche a me stessa, ma dopo un paio di giorni ricasco sempre nelle mie cattive abitudini).

Ma veniamo all'esercizio. Io lo chiamo "Attirare in sè l'energia della Terra". Mi sono ispirata a una pratica che Silver RavenWolf nel suo "Calderone Magico" ha battezzato "Il Cerchio di Stelle". So che adesso molti "puristi", al nome di quest'autrice, avranno fatto una smorfia... poco m'importa. A me la RavenWolf piace, le sue tecniche sono semplici ed efficaci e per me hanno funzionato in molte occasioni. Questa pratica più che mai.

Quest'esercizio può essere utile a tutti: mamme, casalinghe, operai, impiegati, e tutti i lavoratori in generale, che si dedichino alla Magia Naturale oppure no.

1) State in piedi ed eretti, con le gambe leggermente divaricate, i piedi ben piantati al suolo.

2) Tenete il braccio destro lungo il fianco, con la mano aperta e il palmo rivolto a terra. L'altro braccio è invece proteso in avanti, leggermente inclinato verso il basso: la mano dev'essere all'altezza dell'inguine, aperta con il palmo rivolto verso l'alto. *

3) Stringete a pugno la mano sinistra, come se steste impugnando il coperchio di un pentolone.

4) Ora incominciate a sollevare lentamente il braccio sinistro davanti a voi, come se aprendo il coperchio del pentolone immaginario, tiraste dentro di voi anche le energie della Terra. La visualizzazione dev'essere spontanea, se chiudete gli occhi vi riuscirà meglio. Il gesto del braccio che si solleva dev'essere comunque molto lento.

5) Mentre sollevate il braccio, dovreste sentire un'ondata di energia salire in verticale attraverso il vostro corpo, come se voi foste una piscina che si riempie d'acqua dal basso. Il livello dell'energia sale man mano che sale il vostro pugno (e il coperchio del pentolone) davanti a voi. Potreste sentire un formicolio, un calore, o semplicemente un senso di rigenerazione nel vostro corpo.

6) Quando il coperchio arriva all'altezza della vostra faccia, incominciate ad arcuare il braccio. Il coperchio dovrà infatti salire fin sopra la testa. Il vostro pugno alla fine del movimento deve giungere a una distanza di circa 20-30 cm. al di sopra della testa.

7) Rimanete così in tensione per una decina di secondi. Sentite la tensione dell'energia salita dalla Terra, che ora vuole "esplodere" fuori dalla vostra testa. Ma voi la terrete lì ferma ancora un pochino, perchè abbia il tempo di rigenerare le vostre energie personali.

8) Ora scagliate il braccio in avanti e verso l'alto, proprio come se steste lanciando un sasso in un lago di fronte a voi. Ora che ha compiuto il suo lavoro, l'energia salita dalla Terra può esplodere ed essere restituita all'Universo. Se volete potete immaginare di sentire nella vostra testa il suono di un'esplosione, o potete anche gridare qualcosa come "Buumm!" ((se siete all'interno della toilette del vostro posto di lavoro ve lo sconsiglio per ovvi motivi: in ogni caso gridare non è strettamente necessario ai fini della riuscita dell'esercizio).

9) Qualsiasi sia la religione a cui appartenete, dopo aver concluso quest'esercizio non dimenticate di ringraziare la nostra Madre Terra. Chi pratica Magia Naturale e chiunque sia abituato a fare esercizi bioenergetici, meditazione o Yoga può radicarsi, centrarsi e così via. Ma credo che anche un semplice ringraziamento mentale possa coronare degnamente la fine di questa pratica.

Come vi ho già fatto intendere, questo esercizio si può fare in qualsiasi momento della giornata. Basta chiudersi in un bagno e nessuno ci disturberà. Dura meno di una minzione, quindi nessuno vi guarderà in modo strano quando uscirete dalla toilette.

Esistono in realtà tantissimi altri modi di attirare le energie della Terra dentro di noi. Questo mi è sembrato uno dei più semplici ed efficaci, non richiede grandi capacità di visualizzare, concentrarsi, respirare in modi particolari. Cercate solo di mantenere un respiro regolare, e di concentrarvi sull'immagine di questo enorme coperchio. Credo che chiunque, anche la persona meno allenata possa arrivare alla fine dell'esercizio con la soddisfacente sensazione di essere notevolmente più in forma di quando ha cominciato.


* Silver RavenWolf indica la posizione delle braccia invertita: braccio sinistro verso il basso, braccio destro teso in avanti. Provate in entrambe i modi, e vedete quello che vi si conface di più. Inoltre la RavenWolf non specifica di partire dall'inguine: sembra sottintendere che il movimento di sollevamento debba partire dal plesso solare. Io preferisco farlo partire dalla base della spina dorsale, perchè è lì che si trova il centro energetico che ci collega alla Terra.


Le prime due immagini di questo post sono state scannerizzate dal libro di mia proprietà "Il Tesoro di Masquerade" di Kit Williams, tradotto e reinventato per l'Italia da Joan Arold e Lilli Denon, Emme Edizioni; l'autore delle illustrazioni non è citato nel libro. La terza immagine è stata scannerizzata da una delle carte di mia proprietà facenti parte de"L'Oracolo dei Druidi" di Phillip e Stephanie Carr-Gomm, Edizioni Il Punto d'Incontro. L'autore dell'illustrazione è Bill Worthington.

sabato 10 ottobre 2009

Una fiaba popolare russa sul tema della Metamorfosi



Ho trovato questa antica fiaba russa che, pur non provenendo dalla cultura celtica, nell'ultima parte ricorda molto da vicino il mito in cui Ceridwen insegue Gwion, in una continua succesione di metamorfosi, in una sfida fra alunno e maestro. 
Inoltre, se qualcuno di voi ha letto "Il mulino dei dodici corvi", si renderà conto quanto questa fiaba, o forse una sua variante proveniente dal nord della Boemia, abbia ispirato Otfried Preussler, l'autore di quel meraviglioso romanzo, di cui una volta o l'altra farò una recensione.
Ve la racconto qui, davanti al nostro Vecchio Focolare.
E' tratta da "Antiche fiabe russe" (Giulio Einaudi editore), una raccolta di fiabe compilata dal 1855 al 1864 dal linguista Aleksandr Nicolaevic Afanasjev e tradotte in questo volume da Gigliola Venturi. 
Ho cercato di riassumerla un po', ma la parte riguardante le metamorfosi l'ho lasciata quasi
così com'era: era troppo bella per essere amputata qua e là!
Ho voluto mantenere anche il modo di raccontare ricco di espressioni colloquiali, in cui il tempo presente si mischia con il passato remoto, e certe frasi tipiche come "da non immaginare, nè indovinare, nè con la penna raccontare" che ho trovato più volte in questo volume. 
Da notare anche come la metamorfosi del protagonista avviene sempre
"contro l'umida terra", a mostrare che anche nelle fiabe popolari,
come nell'Arte Magica, l'elemento Terra è quello che per eccellenza
trasmuta, rielabora e trasforma.

L'Arte Magica

C'era una volta una vecchia povera e misera. Aveva un figlio che
voleva avviare un'arte che gli permettesse, pur non lavorando, di
mangiare e bere a volontà, e di andare in giro ben messo.
A chiunque chiedesse, tutti scoppiavano a ridere: "Un'arte simile non
la troverai mai!"
Ma la vecchia vendette la sua piccola isba e disse al figlio:
"Preparati, che andiamo a cercare un guadagno facile!". E così partirono. 
Fosse vicino, fosse lontano, arrivarono ad una tomba. La vecchia,
stracca dal camminare, si sedette e dalla stanchezza diede un lamento:
"Oh!". D'improvviso ecco sbucar fuori un vecchio che chiede: "Cosa
vuoi, che t'occorre? Io sono Oh!"
Per quanto la vecchia si scusasse, non riuscì a liberarsi del
misterioso figuro, e dovette alla fine spiegargli il motivo del loro
viaggio.
"Dàllo a me il tuo figliolo, lo ingegnerò io. - disse Oh - A un patto
però: torna qui fra sette anni precisi, e io te lo mostrerò. Se lo
riconoscerai pigliatelo pure, non ti chiederò un soldo per
l'insegnamento. Ma se per tre volte non lo riconoscerai, resterà
sempre con me!"
Passarono sette anni, e la vecchia si recò alla tomba. Non appena ebbe detto "Oh!" si vide dinanzi il vecchio. 
"Batjuska, sono qui per il mio figliolo" disse la vecchia. Oh mandò un fischio possente, e d'improvviso volarono dodici fringuelli, si posarono a terra e comiciarono a gorgheggiare. 
"Su vecchia, se vuoi tuo figlio riconoscilo e prenditelo!" disse Oh.
Ma la vecchia pianse, perchè non seppe riconoscere suo figlio. Disse
Oh: "Tutti questi sono uomini, e non fringuelli: tutti loro, come te,
cercavano un guadagno facile e son rimasti da me in eterno, perchè i
loro genitori non seppero riconoscerli. Adesso torna pure fra tre
anni."
Dopo tre anni la vecchia tornò alla tomba, e al posto dei fringuelli
Oh le mostrò dodici colombi.
E anche questa volta la vecchia non seppe riconoscere il suo figliolo.
Disse Oh: "Fra tre anni avrai la tua ultima occasione: se non lo
riconoscerai neanche allora, di' pure addio a tuo figlio!"
Dopo tre anni la vecchia va per l'ultima volta a cercare il figlio.
E cosa ti vede: vicino a un'osteria è legato un cavallo a uno steccato, 
che le parla con voce umana: "Salute mammina! Non stupirti, sono tuo figlio! Il padrone è venuto con me all'osteria, e ora sta lì a far baldoria. Quando verrai alla tomba vedrai dodici stalloni, uguali di statura, grossezza e pelame: conta sette da destra, e quello sarò io!" 
Così, arrivata alla tomba, la vecchia riuscì a riconoscere il figlio,
e per quanto Oh si fosse indispettito dovette lasciarli andar via
insieme.
"Ora mammina, io posso tramutarmi in quello che mi pare. Puoi vendermi come stallone a signori e mercanti per tre biglietti da mille, e guadagnare facile! Ma ricorda, non dar via la briglia per niente al mondo, toglila e tienila tu, altrimenti non mi rivedrai più!" 
Per due giorni madre e figlio guadagnarono assai bene, e alla fine
della giornata il figlio ritornava come se niente fosse. Ma il terzo giorno le venne incontro un mercante che lei non riconobbe. 
Quando la vecchia fa per togliere la briglia al bel morello, il
mercante dice: "Che fai nonna! Dove s'è mai visto vendere un cavallo
senza briglia! Basta ingannar la gente!". La buttò a terra, saltò in
groppa al cavallo e si fece riconoscere: era Oh. Frustò il cavallo e
sparì.
Per tre giorni e tre notti Oh cavalcò il suo stallone, lo picchiò e
speronò a sangue, galoppando senza sosta per monti e colline. Poi
arrivò a un'osteria, legò il cavallo mezzo morto allo steccato ed
entrò a bere e a gozzovigliare.
Proprio in quel momento passava una ragazza, e il cavallo le chiese di
torgliergli la briglia. Liberato che fu, galoppò in aperta campagna.
Oh si accorse della fuga, e si lanciò all'inseguimento.
Il cavallo sente che lo rincorrono, si gettò nell'umida terra, si
tramutò in un cane levriere e corse più presto di prima. Allora Oh si
tramutò in un lupo e via, dietro al cane! Per poco non lo raggiunge,
per poco non lo fa a pezzi! Il cane vede che ha la morte sul naso, si
getta contro l'umida terra, si tramuta in un orso e vuol strozzare il
lupo; il lupo indovinò e divenuto leone si lancia arditamente contro
l'orso. Ma quello era furbo, si gettò contro l'umida terra e un bianco
cigno volò nell'aria; e Oh dietro, tramutato in falco lucente.
A lungo volarono, e il falco stava per raggiungere il cigno, ecco che
lo colpisce! Il cigno vide in basso scorrere il fiume, si lanciò
dritto nell'acqua, si tramutò in una perca, drizzò le pinne. Allora il
falco divenne un luccio, non s'allontana dalla perca, le nuota dietro.
Nuota nuota, finalmente giunsero alla riva, e lì sulla sponda c'era
una principessa che lavava la biancheria. La perca salta fuori
dall'acqua e tramutatasi in anello d'oro rotolò ai suoi piedi. La
principessa raccolse l'anello e rimirandolo se l'infila al dito. Oh si
tramutò nuovamente in mercante, e le ordina di restituire l'anello,
come se fosse suo. Lei s'arrabbiò, si tolse l'anello e lo gettò a
terra. L'anello si frantumò in tanti grani di miglio, e un semino
capitò nella babbuccia della ragazza. Allora il mercante si tramutò in
un gallo, beccò il miglio, battè le ali e gridò: "Chicchirichì! Chi
volevo me lo son pappato!". Qui l'ultimo semino rotolò fuori della
babbuccia, cadde a terra e divenne un avvoltoio veloce. L'avvoltoio si gettò sul gallo, l'aggranfò con le sue unghie e cominciò a tirare e a strappare: si vedevano solo le penne volare!
"Non s'è mai visto che un gallo mangiasse un avvoltoio!" disse alla fine, e lo fece in due 
pezzi. Poi si gettò a terra e divenne un così bel giovane da non immaginare, nè indovinare, nè con la penna raccontare; e sposò la principessa. 
Alle nozze anch'io sono stato, birra e idromele ho bevuto, sulla barba
scivolò, nulla in bocca capitò. Della fiaba il fine si tocca, all'eroe
di sidro una brocca!


L'immagine di questo post è stata scannerizzata dal libro di mia proprietà "Il Tesoro di Masquerade" di Kit Williams, tradotto e reinventato per l'Italia da Joan Arold e Lilli Denon, Emme Edizioni; l'autore dell'illustrazione non è citato nel libro. 

I Tarocchi: il mazzo classico



Fra i mazzi di Tarocchi che si trovano in commercio, nell'ultimo secolo ne sono spuntati di tutti i tipi. 
Molti autori, artisti e occultisti, disegnando nuovi mazzi, hanno apportato delle innovazioni, talune apprezzabili tal'altre molto meno, sia dal punto di vista grafico che da quello simbolico.
Qualcuno ha voluto reiventare i nomi delle carte, qualcun altro ha addirittura cambiato il valore e di conseguenza la posizione di certe carte nel mazzo, sfalsando perciò il senso del percorso iniziatico rappresentato dagli Arcani Maggiori (vedi il mazzo Rider-Waite, dove il numero VIII de "La Giustizia" è stato scambiato con il XI de "La Forza" per tenere in piedi la corrispondenza con le 22 Vie dell'Albero della Vita).
Eliphas Levi, seguito poi a ruota da diversi altri occultisti, è persino arrivato a rinnegare i 56 Arcani Minori prendendo in considerazione soltanto i Maggiori per far combaciare a tutti i costi questi ultimi con le lettere dell'alfabeto ebraico. 
I Tarocchi sono un sistema di archetipi che ha avuto origine indipendente dall'alfabeto ebraico, e le teorie di occultisti come Eliphas Levi e Oswald Wirth vanno prese con le pinze. 
Negli ultimi vent'anni, poi, sono spuntati come funghi anche mazzi molto fantasiosi, ispirati a tormentoni new age o a best-sellers vari... Non mi stupirei se un giorno vedessi in vendita on line e nelle librerie più fornite i "Tarocchi di Harry Potter"!
A molte persone potranno piacere, ma personalmente tutta questa baraonda di "novità", che in realtà mi sa tanto di minestra riscaldata, mi lascia un po' perplessa...
 
Per chi non si fosse proprio mai avvicinato all'universo dei Tarocchi, scrivo questo post in cui presento il mazzo più classico che ci sia, il Tarocco di Marsiglia, da un punto di vista puramente descrittivo, in modo da dissipare un po' la confusione che può generare nei "neofiti" il multicolore mondo dell'editoria odierna.
Non cercherò di mettere vicino ad ogni Arcano il significato simbolico del soggetto in esso rappresentato. Per approfondire quest'argomento ci vorrebbe un' opera di molte pagine, e in un altro post vi ho recensito un libro che secondo me è l'ideale per incominciare uno studio serio sui Tarocchi. 
Solo una raccomandazione: quando leggete e osservate i Tarocchi, cercate sempre di ascoltare il vostro inconscio, perchè è lì che si trova l' "alfabeto" del linguaggio universale degli archetipi.
Se in una lettura compare "Il Diavolo", cercate di distaccarvi dalle convenzioni religiose che vedono in lui soltanto perversione e distruzione. Pensate che la rappresentazione del Diavolo cristiano è in realtà l'immagine di antiche divinità delle foreste (ad esempio Pan) il cui ruolo predominante era risvegliare la sessualità, gli istinti e la libertà di espressione. Se spunta "L'Eremita" non fermatevi all'aspetto monacale di quel vecchio. Osservate la sua postura, la lanterna che regge per farsi luce, il paesaggio circostante, la direzione del suo sguardo... Meditate sul significato profondo che ogni immagine ha per voi in quel momento.
 

Il Tarocco di Marsiglia, e anche la maggior parte di tutti gli altri mazzi, è formato da 78 carte, suddivise in Arcani Maggiori e Arcani Minori.
Gli Arcani cosiddetti Minori sono tutte quelle carte che poi sono sopravvissute nel classico mazzo da gioco: 14 per ogni seme (spade, bastoni, coppe e denari, che secondo certi, oltre ai quattro elementi Aria, Fuoco, Acqua e Terra, rappresenterebbero le quattro classi sociali del periodo fra il medioevo e il rinascimento: cavalieri, contadini, nobili e mercanti), dieci numerate da 1 a 10 più altre quattro figure: il Fante, il Cavaliere, la Regina e il Re. 
Anzi, per la verità nel mazzo da gioco è stato soppresso il Cavaliere, e in quelli più diffusi i semi sono stati sostituiti con quelli di origine francese: picche, fiori, cuori e quadri.
Quindi, tornando ai Tarocchi, in tutto abbiamo 56 Arcani minori (14 x 4).
Gli Arcani Maggiori, detti anche Trionfi, sono le 22 carte i cui disegni emblematici rappresentano soggetti a cui diversi studiosi spesso danno diversi significati.
Esse sono:

0-Il Matto (io lo considero come prima carta perchè è senza numero, altri considerano il Bagatto come la prima e il Matto come l'ultima della serie; a differenza degli altri Arcani, originariamente nel Tarocco di Marsiglia il numero in cima alla carta non compariva)
I-Il Bagatto (o il Mago)
II-La Papessa (molti pagani preferiscono chiamarla Sacerdotessa)
III-L'Imperatrice
IIII-L'Imperatore
V-Il Papa (anche qui i pagani preferiscono Sacerdote)
VI-L'Innamorato (in altri mazzi la carta è chiamata "Gli Amanti")
VII-Il Carro
VIII-La Giustizia
VIIII-L'Eremita
X-La Ruota di Fortuna
XI-La Forza
XII-L'Appeso
XIII-Arcano XIII o Arcano senza Nome (in altri mazzi è denominata "La Morte".  A differenza degli altri Arcani, originariamente nel Tarocco di Marsiglia compariva solo il numero 13 in alto)
XIIII-Temperanza
XV-Il Diavolo(i pagani preferiscono in genere "Il Dio Cornuto")
XVI-La Torre
XVII-La Stella
XVIII-La Luna
XYIIII-Il Sole
XX-Il Giudizio
XXI-Il Mondo

Ci sono autori che consigliano di cominciare a praticare la lettura dei Tarocchi dagli Arcani Maggiori, perchè le figure sono più facili da memorizzare e i significati sono (in apparenza) più immediati.
Non mi stancherò mai di ripetere che in realtà ognuna di queste figure contiene un universo di significati.  
Certi mazzi hanno illustrazioni che, secondo me, tendono a banalizzarli: i Rider-Waite, per esempio, sono abbastanza diffusi, hanno disegni forse più gradevoli, ma io li trovo più scontati e molto meno intriganti del Tarocco di Marsiglia.

Una lettura coi Tarocchi: l'ostacolo che si trasforma in trampolino


Vorrei condividere con voi un modo di leggere i Tarocchi, semplicissimo ed essenziale ma molto significativo. La dinamica è la stessa di quello che Jodorowsky nel suo libro "La Via dei Tarocchi" ha battezzato "il conflitto", ma per via del significato leggermente diverso che attribuisco a questo tipo di lettura, io preferisco chiamarlo "L'ostacolo che si trasforma in trampolino".

Gli arcani da estrarre sono soltanto due: il primo rappresenterà, in una data situazione, lo scopo che ci siamo prefissi, il nostro traguardo, o il nostro desiderio. Il secondo rappresenta l'ostacolo principale che si frappone fra noi e la nostra realizzazione.

Mi piace disporli come indicato nel "conflitto" di Jodorowsky: sotto lo scopo, sopra l'ostacolo.

Osserviamo ciò che le carte sembrano comunicarci a prima vista. Quali sono i simboli, le immagini che subito ci riportano alla nostra situazione? Cos'è che rappresenta, nel primo arcano, il nostro desiderio? E nel secondo arcano, quello sovrapposto, dov'è che possiamo individuare il vero ostacolo che ci divide dalla manifestazione del nostro scopo? Ci avevamo mai pensato? E' possibile che avessimo attribuito la causa degli impedimenti a qualcosa di più superficiale di ciò che stiamo trovando su queste immagini? O, al contrario, a qualcosa che pensavamo fosse troppo difficile per noi da affrontare? Spesso i Tarocchi ci invitano a guardare la situazione da un punto di vista nuovo, che non avevamo mai preso in considerazione.

Ora scambiamo il posto delle due carte. Posizionando il primo arcano in cima, vedremo finalmente il nostro desiderio risalire in superficie, alla luce del sole. E' un po' come vedere la propria situazione realizzata. Come ci insegna il pensiero Magico, dobbiamo imparare a pensare e a vivere come se la soluzione dei nostri problemi si fosse materializzata nel presente. Questo non significa ignorare i problemi. Significa semplicemente mutare il proprio atteggiamento, il proprio animo da uno stato di disperazione a uno stato di calma, di tranquillità.

E il secondo arcano dov'è finito? Proprio sotto alla realizzazione del nostro scopo. Ne è diventata la base, la premessa necessaria affinchè la nostra realizzazione trovi adempimento. Quello che prima rappresentava semplicemente un ostacolo insormontabile, è diventato ora il nostro trampolino di lancio. Dobbiamo imparare a utilizzarlo come se lo fosse, approfittarne come se fosse un'occasione imperdibile per cogliere l'attimo e andare in avanti. Guardatelo come più vi piace: come un trampolino, appunto, o come un muro da scalare,  una porta da aprire, o anche come un segnaletica rudimentale, lasciata da qualcuno che ha deciso di aiutarvi nel momento in cui vi siete persi nella foresta intricata della vita.

Osservate le carte, date spazio alla vostra immaginazione, perchè soltanto così potrete individuare i simboli che hanno davvero significato per voi, solo per voi, in questo preciso istante, in questa situazione. Lasciate perdere le interpretazioni tradizionali alla Vanna Marchi, dove la regina di picche è sempre e solo una maliarda dai capelli bruni, dove La Torre è sempre e solo un simbolo di distruzione e rovina, e "L'Appeso" è simbolo di impotenza. In commercio esistono addirittura mazzi di Tarocchi per principianti, dove vicino al nome dell'arcano c'è il significato da attribuire alle carte, cose come "rabbia", "invidia", "felicità"... se state utilizzando uno di questi, per favore, cercate di ignorare quelle fastidiose scritte in fondo alla carta, che in teoria dovrebbero facilitare la consultazione, ma che personalmente trovo limitanti, adirittura castranti. E cambiate mazzo al più presto. 

Cosa vedete voi in quelle immagini? Cos'è che sta parlando direttamente a voi, ora? Lasciate che sia il vostro cuore ad ascoltare. Cercate di comprendere il Linguaggio dell'Universo. (vedi "Che cos'è la Divinazione?")


Che cos'è la Divinazione?


Divinazione: comprendere il linguaggio del Divino.


Tante, troppe volte ho sentito usare questo termine in un modo inappropriato, che ne sfalsa il significato. Quando si sente parlare delle varie tecniche di divinazione, si sentono le reazioni più disparate, proprio perchè secondo me il termine e il suo significato profondo non è mai stato compreso veramente. I creduloni pensano che leggere i Tarocchi, fare un lancio con le Rune, usare il pendolino siano metodi per scoprire che cosa ci aspetta nel futuro, come se il tempo e gli eventi della vita di una persona fossero strutture rigide, immobili ed eterne. I più scettici, invece, restano disgustati al solo pronunciare la parola "divinazione", e con disprezzo si limitano ad affermare che "loro non credono in queste cose".


Cerchiamo di soffermarci un attimo sul significato di "divinazione" dal punto di vista prettamente linguistico: nella parola è contenuto il termine "divino". Divinare in sostanza significa "comprendere e parlare il linguaggio del Divino". 

 Nelle religioni abramitiche la divinazione è una pratica assolutamente vietata, perchè la caratteristica principale della divinità è la trascendenza: Dio è distinto dalla propria creazione e superiore a qualsiasi altra entità dell'Universo. Per queste religioni la logica conseguenza è che praticare la divinazione è un atto di grande presunzione, perchè solo Dio e le creature ad esse più vicine possono parlare e comprendere il linguaggio divino.

Nelle religioni precristiane e nel Paganesimo in generale, invece, il Divino permea tutto l'Universo. Indipendente dall'essere panteisti, animisti o politeisti, la Divinità è presente in ogni cosa, in ogni realtà, senza gerarchie e distinzioni. Ognuno di noi è parte di essa, ognuno di noi è divino. Ognuno di noi può comprendere e imparare a esprimersi nel Divino Linguaggio Universale.

Per comprendere il vero senso della divinazione è fondamentale innanzitutto capire di che tipo dev'essere il linguaggio divino. Se è vero che il Divino permea tutto l'Universo, è necessario che questo linguaggio possa essere compreso universalmente. Non può essere un linguaggio codificato, non può essere convenzionale. Dev'essere un linguaggio simbolico, un linguaggio il cui immenso alfabeto è formato da archetipi, cioè dalle idee innate e predeterminate dell'inconscio di ognuno di noi. Più avanti cercherò di analizzare meglio il concetto di linguaggio archetipale (vedi Le fiabe popolari e il linguaggio archetipale).

Ora, dopo aver identificato il tipo di linguaggio, bisogna comprendere anche lo scopo vero della Divinazione. Personalmente non condivido la concezione abbastanza diffusa fra i molti amanti degli oroscopi da giornale, secondo cui noi possiamo prevedere ciò che avverrà perchè "il futuro è già scritto". Gli eventi, le nostre vite, noi stessi siamo in eterna trasformazione. Quante volte ci è capitato di pensare "Che cosa sarebbe successo se ieri, invece di fare questo avessi fatto un'altra cosa? Oggi sarei ancora qui, in questo stesso stato d'animo, in queste stesse condizioni?". Gli accadimenti sono continuamente influenzati da altri accadimenti, niente è scritto. 

Possiamo però cercare di scoprire la direzione in cui stiamo andando, la strada che il nostro Sè ha deciso di percorrere, e cosa potremmo trovare su questa strada. Possiamo cercare di capire se stiamo camminando in un bosco rigoglioso e vivo, pieno di sentieri che ci portano a nuovi sentieri ed esperienze; oppure potremmo scoprire che la strada che abbiamo deciso di percorrere ci porterà sull'orlo di un precipizio; potremmo accorgerci di essere in mezzo a un deserto, che ci consente di rafforzare la nostra tempra, ma che ci ha isolati dal resto del mondo; oppure di essere un elemento anonimo in una folla di persone indifferenti e tutte omologate.

Con la Divinazione possiamo cogliere tutte le sfaccettature della situazione in cui ci troviamo, e decidere se è il caso di incominciare a cambiare direzione e atteggiamento, o di continuare per quella stessa via. Possiamo cercare di intuire qual'è il ruolo che stiamo interpretando nella storia della nostra vita, e le posizioni che hanno assunto coloro che ci circondano.

Ogni tecnica divinatoria è adatta per realizzare questo tipo di comprensione, perchè ognuna di esse si basa sul linguaggio simbolico universale. Dobbiamo solo cercare la tecnica più adatta al nostro Sè, alle nostre propensioni. Se ci piacciono le immagini, possiamo provare ad avvicinarci ai Tarocchi. Se ci piacciono i simboli più stilizzati, possiamo incominciare a studiare le Rune, o l'alfabeto Ogham. Se ci piace lavorare con le energie eteriche, possiamo cimentarci nella radiestesia.

Dobbiamo solo tenere a mente che la Divinazione non è un banale giochetto per soddisfare una certa curiosità: non serve per sapere se quella certa persona di cui ci siamo invaghiti lascerà il/la consorte, o se vinceremo all'enalotto, o l'anno, il giorno e l'ora in cui arriverà la morte a prenderci.

Praticare la Divinazione vuol dire ascoltare l'Universo: capire che noi siamo divini insieme a tutto il resto dell'Universo.
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