mercoledì 14 ottobre 2009

Le fiabe popolari e il linguaggio archetipale



Qualche tempo fa, in un forum che frequento molto spesso, una ragazza introdusse un argomento che purtroppo non ebbe molto seguito, ma che personalmente mi intrigò molto. La discussione si incentrò più che altro sul linguaggio archetipico, ma era impostata in modo abbastanza generico.

Definiamo innanzitutto che cos'è l'archetipo.
In greco il termine "archétypon" significa: immagine primitiva, originale.
Composto da arché (origine di tutte le cose) e typos (modello, immagine).
La definizione da dizionario è: "primo esemplare, ciò che è all'inizio e funge da modello".
Per Kant l'Intellectus archetipus è l'intelletto divino, che non ha bisogno dell'esperienza sensibile per intuire la realtà.
La definizione che ci interessa di più ai fini del nostro discorso è però quella che ha dato Carl Jung: "L'archetipo è il contenuto dell'inconscio collettivo, le idee innate e la tendenza a organizzare la conoscenza secondo modelli predeterminati innati".

Nella prima parte di quella discussione ne vennero elencati ventidue. In realtà gli archetipi sono molto più di ventidue, ma leggendo quei primi mi vennero subito in mente gli Arcani Maggiori, è non è un caso se anche il percorso dei Tarocchi sia in realtà una sorta di alfabeto archetipico basato sulle immagini.
A quel punto il moderatore del forum intervenne elencando i sette typos di base da cui deriverebbero tutti gli altri archetipi: morte-rinascita, viaggio, femminile, maschile, nemico ed eroe, e il Sé, che interagisce con i primi creando gli altri archetipi.

Fin da piccola sono sempre stata un'appassionata di fiabe popolari, e appena sentii nominare quelle sette figure di base mi sovvennero subito le carte di Propp: per chi non lo sapesse Vladimir Jakovlevič Propp fu un linguista russo studioso di folklore che analizzò i meccanismi e le figure principali attorno a cui ruotano tutte le fiabe popolari del mondo. Ne ricavò 31 elementi circa, che vennero poi chiamati "le carte di Propp". Le carte di Propp vengono utilizzate ancora oggi nelle scuole a scopo didattico per far comprendere meglio i meccanismi su cui si basa la fiaba, uno dei generi letterari che ho sempre trovato più affascinanti.  

Mi ricordo di un tema sulla fiaba che scrissi con grande passione in prima media, mi pare, su Propp e su queste sue carte da me considerate quasi magiche. 
Se sono stata attratta da sempre dai racconti popolari, forse è proprio perchè inconsciamente già allora cercavo di scoprire i segreti del linguaggio archetipico, già sentivo il bisogno e l'urgenza di imparare a comprendere e padroneggiare un linguaggio che potesse mettermi in comunicazione con tutto l'Universo. Ogni volta che sentivo anche solo nominare le carte di Propp, mi sembrava di entrare in un argomento che aveva del magico.
A dodici anni mi ero letta e riletta le tre raccolte di Italo Calvino "Fiabe italiane"(Italia settentrionale, centrale, meridionale e insulare), e partendo da lì avevo incominciato ad appassionarmi in modo quasi maniacale alle fiabe popolari di tutto il mondo (quelle rumene, poi, mi avevano affascinato in maniera incredibile).

Ogni cultura ha archetipi riconducibili alle elaborazioni dei sette typos di base, e le fiabe popolari ne sono la dimostrazione. 
Proprio perchè non si può sapere esattamente quando sono nate, perchè sono state tramandate nelle generazioni e perchè ogni narratore che si accingeva a raccontarne una inevitabilmente variava, aggiungeva o toglieva dei particolari di volta in volta, le fiabe popolari utilizzano un linguaggio archetipico universale.
In esse manca la contaminazione del pensiero soggettivo di uno specifico autore, per questo possono essere definite a buon diritto delle fonti inesauribili di archetipi. Perchè gli elementi che le compongono sono delle costanti in tutto il mondo: fanno parte dell'inconscio collettivo.

Osservando gli elementi delle carte di Propp notiamo che la maggior parte delle fiabe è la cronaca di un' iniziazione : il protagonista, l'allontanamento da casa, il divieto imposto all'eroe (che ricorda molto da vicino il "Geiss", una costante nei miti Celtici), l'infrazione del divieto da parte dell'eroe, l'antagonista, la prova da superare, il superamento della prova, ecc... sono tutti elementi che ricordano molto da vicino i typos sopra indicati: morte-rinascita,  viaggio, femminile, maschile, nemico ed eroe. 
In alcune fiabe rumene (e chissà in quante altre che io non conosco neanche) avevo trovato addirittura la figura dell' Albero della Vita, un elemento cosmogonico comune ai miti di diversi popoli (Yggdrasil è il primo che mi viene in mente).
Nella fiaba russa che vi ho presentato in un altro post (vedi "Una fiaba popolare russa sul tema della Metamorfosi") viene affrontato il tema della metamorfosi e della sfida fra alunno e maestro, riconducibile al mito di Ceridwen e Gwion, eppure per quel che ne sappiamo in Russia non si ebbero mai contaminazioni di cultura celtica. Inoltre, fiabe popolari provenienti da diversissime parti del mondo si assomigliano fra di loro in una maniera impressionate.

Nei giorni in cui stavo sostenendo la discussione sul linguaggio archetipico, ne parlai con mia madre, perchè la cosa mi intrigava parecchio. Casualmente, proprio in quel periodo lei stava leggendo "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estès, una psicoanalista la cui opera mostra come anche le fiabe popolari, attraverso l'analisi degli archetipi e dei simboli che contengono, possono essere una medicina per l'anima. 
Io non lo sapevo, ma esiste anche una categoria di curanderi e curandere che utilizzano le storie per guarire.
In "Donne che corrono coi lupi" fiabe provenienti da ogni parte del mondo, dalla russa "Vassilissa e Baba Jaga" alla inuit "La Donna Scheletro", dall'africana "Manawee" alla germanica "Le Scarpette del Demonio", sono analizzate fino all'essenza per trovare gli elementi primari che sorreggono l'intera struttura del racconto, e mettere in evidenza la figura archetipica con cui l'essere umano è entrato in conflitto e che ha bisogno di riconoscere per poter guarire nel profondo dell'anima.

Quando più tardi mia madre mi prestò quel libro, vi trovai tutto quello che avevo intuito in quei giorni e cercato fin da bambina. Attraverso la passione maniacale che a dieci anni avevo per la fiaba, per un certo arco di tempo avevo tentato disperatamente di conoscere me stessa e di guarire le mie ferite. Ricordo come le trascrivevo e le analizzavo per mio conto, in una sorta di goffa e inconsapevole autoterapia, come prediligevo le fiabe dove l'eroe o l'eroina si scontra con lo strano, col macabro e l'inquietante, per realizzare che ciò che inizialmente fa paura è la premessa necessaria per risolvere l'enigma e arrivare a capo della propria iniziazione.

Esistono fiabe che affrontano il tema dell'esilio, altre quello della ricerca, dell'illusione, dell'inganno, della riunione con l'altra metà, del ritorno alle proprie radici (che non necessariamente coincide col ritorno a casa): ogni fiaba è un pozzo profondo millenni, da cui possono venire alla luce tutti gli archetipi esistenti.

Ogni fiaba è uno fra gli innumerevoli frammenti dello specchio della nostra anima.
Ogni fiaba può aiutarci a trovare il coraggio di riconoscere il nostro lato-ombra, di fronteggiarlo, di accettarne l'indispensabile esistenza.
Ogni fiaba, proprio come accade agli eroi che ne sono protagonisti, può guidare anche noi nel lungo viaggio per ritrovare le nostre radici.
Ma va scavata in profondità.


Le immagini di questo post sono state scannerizzate dal libro "Fiabe Romene di Magia" di Marin Mincu, RCS Libri S.p.A., Milano, di proprietà della Biblioteca Marazza di Borgomanero; l'autore delle illustrazioni non è citato nel libro. 

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