domenica 31 gennaio 2010

Le erbe in magia: imparare a capirle e a utilizzarle


Frequentare i forum di neopaganesimo può essere utile per molti aspetti, perchè anche se le persone non ti vengono sempre a raccontare come praticano in privato, ci si rende conto di quanto certi campi, come la magia delle erbe e l'erboristeria, vengano presi sul serio.

Leggendo diverse discussioni mi sono resa conto che il più delle volte molte persone parlano di incantesimi e di sacchettini fatti con le erbe senza nemmeno averle viste in natura, averle odorate e toccate con mano. La tendenza generale è quella di cercare sui libri e sui siti gli usi magici di certi ingredienti, taluni anche esotici e difficili da reperire nella zona dove abitiamo, e di copiare ciecamente nei quadernetti e nei cosiddetti "Libri delle Ombre" una sfilza di nomi e di liste, senza però essere in grado di verificare come e perchè una tale erba è utile per la prosperità e una tal altra per un rito di protezione o d'amore.

Come fare a capire l'utilizzo magico di un'erba, una pianta o un fiore?

Innanzitutto, a mio parere, è bene cominciare a utilizzare le erbe e i fiori della nostra zona. Non dico che ci sia qualcosa di male nel ricorrere anche a specie un po' più esotiche, ma per iniziare è utile conoscere da vicino ciò che abbiamo intorno a noi, capire come vive e cresce nel suo ambiente naturale e da che tipo di energie è stato circondato e nutrito ogni giorno.

Infatti, se crediamo in una filosofia olistica, dobbiamo comprendere che i poteri di una pianta, sia medicamentosi che magici, derivano anche dalla terra in cui ha messo radici, dall'aria che ha respirato, dall'acqua con cui si è dissetata e dal tipo di sole (o ombra) sotto cui è cresciuta e ha sviluppato i suoi oli essenziali e i suoi principi attivi. Insomma, ogni pianta porta dentro di sè l'essenza del Genius Loci che l'ha protetta e salvaguardata, che si è preso cura di lei dal momento in cui è nata.

In fondo una Strega Verde, per fare dei rituali efficaci, può disporre anche solo di poche specie locali. Sarebbe una buona idea coltivare le erbe da sè, ma mi rendo conto che, nonostante le aromatiche richiedano poca manutenzione, non sempre questo è possibile a chiunque.

L'altra volta abbiamo parlato in lungo e in largo del rosmarino... questa pianta ha degli innumerevoli usi, che vanno dai rituali d'amore a quelli di protezione, da quelli di purificazione a quelli di guarigione. E così abbiamo anche l'ortica, la salvia, l'aglio, il timo, il basilico, l'origano, il peperoncino e molte delle piante ed aromi che usiamo in cucina... siamo sicuri di aver preso in considerazione tutti i loro usi magici prima di rivolgerci a piante più esotiche o dai nomi più intriganti?

In secondo luogo, non credo abbia senso mettersi a pasticciare con le erbe senza aver alcuna idea dei loro usi erboristici. E' proprio con l'erboristeria che probabilmente certe nostre antenate (molte delle quali prima che streghe erano guaritrici) si accorsero che i poteri medicamentosi di una pianta avevano una corrispondenza anche sul piano invisibile.

Come ho già accennato in passato, ho sempre pensato che per imparare ad apprezzare una pianta dal punto di vista magico bisogna approfondire la sua conoscenza anche dal punto di vista erboristico, perchè anche nelle piante, come in tutti gli esseri viventi, la dimensione fisica, energetica e spirituale sono strettamente legate, se non una cosa sola.

Oltretutto, sarebbe utile dare una rispolverata anche alle tradizioni e alle leggende dei vari popoli sulle piante di ogni genere, per capire come l'erba che ci accingiamo a utilizzare sia entrata nella storia e nella memoria dei nostri antenati. Insomma, le erbe sono da conoscere sotto tutti gli aspetti: tramite l'esperienza diretta, nell'ambito della guarigione e dal punto di vista folkloristico.


Per cominciare a capire una pianta dal punto di vista magico l'ideale sarebbe avvicinarci a un esemplare in natura e metterci con calma a... fare conoscenza con lei. Possiamo metterci ad osservarla, a guardare il suo colore, la sua forma e le sue foglie, il suo profumo e la sua consistenza. Facendoci guidare dai nostri sensi, proviamo a sentire le vibrazioni eteriche che essa emana: l'esercizio che avevamo sperimentato con il rosmarino per sintonizzarci con la sua energia è molto utile a questo scopo (vedi Il rosmarino: una delle piante magiche per eccellenza ).

Dopo esserci fatti un'idea della qualità delle caratteristiche energetiche che essa emana, proviamo a definire le nostre sensazioni con parole semplici, usando l'associazione d'idee.

Ora procuriamoci un bel libro di erboristeria e confrontiamo le impressioni che abbiamo raccolto con i principi attivi e con gli usi medicamentosi elencati nella sezione della pianta in questione.

Ciò che troviamo scritto si accorda almeno in parte con le impressioni che abbiamo raccolto durante la nostra conoscenza diretta? Per esempio, annusandola potremmo aver percepito un aroma intenso che apre le nostre vie respiratorie, ed ora guardando sul libro troviamo che quest'erba contiene degli oli balsamici. Oppure potremmo aver trovato il suo aroma particolarmente forte e pungente, e ora leggendo scopriamo che essa ha delle proprietà antibatteriche.

Se consideriamo queste caratteristiche su un piano eterico, possiamo già intuire che nel primo caso la nostra piantina potrebbe avere degli usi magici nell'ambito della purificazione, mentre nel secondo caso è ottima per la protezione e l'esorcismo.

Infine, per comprendere appieno l'uso magico di una pianta, completiamo la nostra conoscenza e cerchiamo qualche notizia di tipo folkloristico. Raccogliamo materiale di vario genere: leggende, superstizioni, proverbi... e cerchiamo di capire come le credenze dei nostri antenati trovano riscontro con le proprietà fisiche, mediche ed energetiche che sono emerse dalla nostra osservazione.

E' noto, per esempio, che l'aglio è l'ingrediente che per antonomasia tiene lontani i vampiri e gli spiriti malvagi in generale. E guarda caso, oltre ad essere uno degli antisettici e antitumorali più potenti in natura, l'aglio è un'ottima soluzione per tenere lontane pulci ed altri parassiti dai cani (vedi Alcuni rimedi naturali per la salute dei nostri cani ), che al pari dei leggendari vampiri sono anch'essi dei succhiasangue. In magia l'aglio è una delle piante più potenti nei rituali di protezione e per scongiurare il male.

Il nome del basilico in greco significa "degno della casa del re", in chiaro riferimento al suo aroma gradevole. In effetti il basilico ha un profumo meraviglioso (l'infuso per fare i gargarismi è un ottimo rimedio per l'alito cattivo), e fra i suoi usi magici c'è quello favorire dei rapporti armoniosi con il vicinato: basterà piantarlo vicino al confine.

La salvia, rustica e resistente, dal profumo gradevole e intenso e dalle belle foglie vellutate, presso molti popoli era considerata un'erba purificatrice (le fumigazioni ne sono un chiaro esempio). In effetti, guardando il nostro libro di erboristeria, vediamo che fra le sue tante proprietà sono annoverate quella espettorante e quella diuretica. E' sempre stata considerata una pianta afrodisiaca (in erboristeria è tonica del sistema nervoso e stimolante), di conseguenza può essere utilizzata negli incantesimi riguardanti la sessualità. Inoltre, forse per via del fatto che è una pianta perenne e sempreverde, gli Egiziani la associavano all'immortalità, e in passato le si attribuiva il potere di stimolare la memoria e di garantire la longevità.

L'ortica, con la sua peluria che contiene il caratteristico succo urticante, se preparata in infuso è ottima come antiparassitario per le piante, e in magia è l'ideale per la protezione e per sconfiggere il malocchio.

Per non parlare del rosmarino, delle cui innumerevoli proprietà e numerose leggende ho parlato nell'articolo che vi ho linkato sopra. Anch'esso perenne e sempreverde, anch'esso balsamico e rinvigorente, viene utilizzato in molti rimedi erboristici e in moltissimi rituali magici, tanto che è una delle piante magiche per eccellenza: si dice che possa sostituire qualsiasi ingrediente mancante... eppure, forse per il fatto che l'abbiamo sotto il naso tutti i giorni, molte streghe ignorano le sue grandi potenzialità e lo considerano giusto un aroma ideale per condire gli arrosti!


Delle piante che ho nominato sopra si potrebbe parlare per ore: sia delle loro proprietà medicamentose, sia dei loro usi magici, sia delle leggende che sono giunte fino a noi, a testimoniare la sacralità che hanno sempre goduto presso i nostri antenati.

Quello che mi premeva ora era semplicemente fare degli esempi su come, cercando di sintonizzarsi con le erbe e facendo qualche ricerca, i tasselli della medicina, del folklore e della magia si incastrano alla perfezione, e dopo aver preso confidenza con questo metodo non si avrà più bisogno di copiare alla cieca le sterili liste degli usi magici compilate da questo o da quell'autore. Queste potranno essere utili per confrontare le nostre intuizioni ed eventualmente integrarle, o suggerircene di nuove, ma le schede sui poteri delle erbe potremo compilarle da noi, e in questo modo il nostro lavoro magico sarà molto più consapevole.

In fondo, secondo voi, come avevano fatto le nostre antenate, le guaritrici e le curandere dei tempi passati, a carpire i segreti magici delle piante e delle erbe che usavano per i loro rituali e per i loro incanti? Probabilmente vi si accostarono con amore, stupore e reverenza, e instaurarono con esse un'empatia, cercando di coglierne l'essenza profonda.



Le prime due immagini di questo articolo sono state scannerizzate dall' umoristico "Il manuale delle Streghe" di Malcolm Bird e Alan Dart (autore il primo, illustratore il secondo), un fantastico libro che mi ha fatto tanto sognare quand'ero ancora una bambina (edito da Rizzoli ma purtroppo mai più stampato dal 1984). L'ultima immagine è stata scannerizzata dal libro di mia proprietà "Il Tesoro di Masquerade" di Kit Williams, tradotto e reinventato per l'Italia da Joan Arold e Lilli Denon, Emme Edizioni; l'autore dell' illustrazione non è citato nel libro.

domenica 24 gennaio 2010

La vera storia della strega di "Hansel e Gretel"



Molti di noi sanno che la maggior parte delle donne processate in passato e torturate e uccise con l'accusa di stregoneria, altro non erano che erbane, levatrici e guaritrici di vario genere.
Oppure donne che non avevano fatto nulla di speciale ma che erano state coinvolte in qualche litigio fra vicini, o che avevano rifiutato qualche spasimante e che erano state denunciate al tribunale secolare per vendetta.
O addirittura, donne che vivevano un'esistenza un po' eccentrica e fuori dalle righe rispetto agli abitanti nel resto del villaggio, e che per questo suscitavano molti sospetti in un' epoca in cui il timore nei confronti della "progenie del maligno" aveva ormai sfondato la soglia della paranoia.

La storia che vi racconterò oggi riguarda una donna che è passata alla storia con la nota fiaba dei fratelli Grimm "Hansel e Gretel".
Nella fiaba il personaggio è, come tutti sanno, una vecchia sgradevole e malvagia che attira i bambini nella sua casetta di pan pepato, per poi farli ingrassare rinchiusi in una gabbia, cuocerli in un forno e divorarli.
Nella realtà pare che fosse una donna giovane e forse anche avvenente (ti pareva), oltre che un'abilissima... pasticcera di professione!

Ma andiamo con ordine.
Leggendo un interessantissimo libro intitolato "Il posto delle favole. Un viaggio nella narrativa popolare europea" di Alberto Mari (edizione Grande Fiabesca, Stampa Alternativa), mi sono imbattuta in questa interessante teoria nel capitolo sulle fiabe provenienti dalla Germania.
Secondo l'autore la Foresta dello Spessart , anche se non menzionata dai fratelli Grimm, fa da sfondo sia alla fiaba "Hansel e Gretel" sia alla vicenda realmente accaduta, che in realtà si trattò di un vero e proprio omicidio ai danni della cosiddetta "strega".
Alberto Mari menziona un'opera intitolata "La strega e il panpepato", dove Hans Traxler (illustratore, caricaturista, amante della letteratura di genere) ricostruisce la drammatica storia basandosi sulle intuizioni, sulle indagini e sulle scoperte di George Osseg, un archeologo della fiaba che andò direttamente sul posto ad analizzare la zona dove avvenne il macabro assassinio e a ricercarne tutti i riscontri all'interno del famoso racconto.
Secondo quanto scrive Mari, a condurre Osseg sulla pista giusta sarebbe stata un'incisione in un'edizione delle fiabe dei fratelli Grimm del 1818: quando questi andò per la prima volta nella foresta dello Spessart riconobbe subito il luogo raffigurato nell'incisione, la cui somiglianza era impressionante.

Se guardate qua di fianco, l'incisione è quella a sinistra, mentre a destra c'è una foto che mostra come la foresta si presentava nel momento in cui vi giunse Osseg. Anche le due immagini qui sotto sono di una somiglianza incredibile: l'incisione, a sinistra, tratta dall'edizione Dorfeldt delle "Fiabe del Focolare"(1818) aiutò Osseg a rintracciare il posto preciso dove sorgeva il rifugio della "strega", mentre a destra c'è una foto (scattata prima degli scavi il 10/7/72) del luogo dove furono rinvenuti i resti del muro maestro della casa. Il muricciolo in primo piano a sinistra è un resto dell'imboccatura del pozzo (queste immagini sono tratte dal libro di Alberto Mari precedentemente menzionato).
Analizzando il testo della fiaba, il ricercatore fu inoltre in grado di riconoscere il luogo preciso dove sorgeva la casetta della donna misteriosa.

A questo proposito, è interessante analizzare il dialogo che avviene fra Hansel e il padre mentre i bambini, di primissimo mattino, vengono condotti nella foresta.
Quando il padre chiede a Hansel il motivo per cui lui si sofferma a guardare indietro verso la loro casa, il bambino si giustifica dicendo: "Stavo guardando il mio gattino bianco, seduto sopra il tetto, che mi vuole dire addio." E il padre: "Folle, non vedi che non è il tuo gatto, ma il primo sole che brilla sui comignoli?".
Da questa frase Osseg riuscì a capire che i comignoli erano controluce, e che quindi la famiglia si stava dirigendo nella direzione opposta a quella del sole che sorge: il sentiero da ricercare era un tratto di strada che si addentrasse nella foresta dello Spessart in direzione ovest.
Da diversi altri elementi all'interno della narrazione (che qui sarebbe troppo complesso analizzare) Osseg intuì che il luogo dove più probabilmente sorgeva la casa della strega era un poggio presso una radura dove scorre un corso d'acqua proveniente dal fiume Aschaff, che attraversava "il bosco della strega" (definizione ricavata da un'espressione contadina).

Grazie agli scavi fu rinvenuto un rudere solitario, una tipica costruzione delle foreste dell'Assia.
In seguito vennero alla luce quattro forni, e in uno di essi fu trovato sepolto uno scheletro di donna.
Gli esperti che accompagnavano Osseg appurarono che la morte della donna avvenne prima che questa venisse parzialmente bruciata, e che la "strega" al momento del fattaccio non doveva avere più di trentacinque anni.

Cosa poteva aver spinto una donna ancora piuttosto giovane (e non certo obbrobriosa come venne poi descritta nella fiaba dei Grimm) ad andare a vivere in un bosco isolato, lontana da ogni contatto umano? Doveva nascondersi da qualcuno?
Le indagini nel casolare solitario proseguirono, e vennero trovati i resti di una ricetta, degli arnesi da pasticceria e una focaccia bruciacchiata.
Osseg fece cuocere una focaccia secondo la ricetta rinvenuta, vecchia di trecento anni, e il risultato corrispondeva molto da vicino al panpepato tipico di Norimberga.

Le indagini sembravano a un punto morto, quando Osseg, analizzando la corrispondenza degli stessi fratelli Grimm, trovò una lettera in cui Jacob scriveva al fratello Wilhelm: "Questa storia dei due fratelli mi pare troppo violenta per trovar posto nella nostra raccolta... Se solo la giovane strega fosse una brutta vecchia con la gobba, su cui magari stesse appollaiato un corvo o un gatto, il tutto potrebbe sortire un effetto altamente istruttivo e denso di significato".

Osseg dedusse quindi che i fratelli Grimm modificarono la storia per motivi "etici", trasformando la donna solitaria in una megera dagli "occhi rossi e la vista corta, con fiuto finissimo come gli animali, capaci si sentire quando un essere umano si avvicina", ma che si tradirono in alcuni punti del testo, rivelando l'idioma puro dei contadini di Harz parlato nei dintorni di Wernigerode.
Osseg andò così a fare ricerche in quella località, e trovò un documento di un processo per stregoneria, in cui una donna, certa Katharina Shraderin, fu accusata nel 1647 con l'assurda imputazione di aver confezionato dolci diabolici, in grado di provocare "bestiali concupiscenze", e di attirare gli uomini nel bosco coprendo il tetto della sua casetta con "pastizeria", per ucciderli e divorarli.
Secondo il verbale la donna resistette alla tortura e non confessò. Venne assolta ma in seguito fece una fine simile a quella della strega nella fiaba: venne strangolata e in seguito mezzo-carbonizzata da Hans Melzler e dalla di questi sorella Greta. I due assassini, ovviamente, non vennero condannati.
Osseg potè infine ricostruire la storia per intero.

Hans Melzler era un pasticcere della corte ducale che inizialmente avrebbe corteggiato Katherina per riuscire a carpirle la ricetta segreta della sua focaccia speciale. La giovane, dopo averlo rifiutato più volte, a causa della sua insistenza fu costretta a rifugiarsi nel bosco, nella casa dell'Engelesberg. Qui riuscì a trovare un po' di pace e a vivere sfornando i suoi dolci che erano molto apprezzati nelle corti di Fulda e Magonza. Dopo qualche tempo, però, Melzler per vendetta avrebbe denunciato Katherina, accusandola di stregoneria. In seguito, quando la ragazza fu rilasciata, il pasticcere decise di
risolvere il problema alla radice: insieme a sua sorella Greta andò a rintracciare di persona Katherina e la uccise.
A quei tempi la foresta dello Spessart era così fitta e intricata, talmente priva di mappe e indicazioni che persino due persone adulte avrebbero dovuto lasciare delle tracce sul percorso per ritrovare la via del ritorno.
E forse fu proprio questo che ispirò ai fratelli Grimm la famosissima fiaba "Hansel e Gretel".


EDIT:  Recentemente, cercando Hans Traxler ho trovato una pagina di Wikipedia in tedesco che parla di lui e della sua produzione letteraria, satirica, vignettistica.
Secondo Wikipedia, Osseg non sarebbe altro che lo pseudonimo con cui Traxler immagina di ricostruire quest'indagine, che in seguito il Prof. Heinz Rölleke (professore di filologia e antropologia) avrebbe definito "Una delle migliori farse fra le ricerche sulle fiabe, se non la migliore di sempre".
Che dire... indipendentemente dal fatto che questa ricerca sia stata inventata per gioco, l'ipotesi della pasticcera assassinata resta comunque affascinante, e probabilmente lo scambio di ruoli immaginato da Traxler rientra in un discorso satirico più ampio. Sarebbe interessante valutare la sua opera da questo punto di vista... se solo si riuscisse a trovare un po' di materiale in più.

In ogni caso sembra che anche Traxler sia uno che sta dalla parte delle streghe...




Le immagini di questo post sono state scannerizzate dal libro "Il posto delle favole. Un viaggio nella narrativa popolare europea", di proprietà della biblioteca pubblica di Fontaneto d'Agogna. La prima è un'illustrazione di Arthur Rackham per la favola di Hansel e Gretel. Le immagini al centro mostrano le incisioni dell'edizione Dorfeldt del 1818 di "Fiabe del focolare" e le foto scattate da Osseg al momento degli scavi (vedi testo dell'articolo). L'ultima immagine è il frontespizio del Manoscritto di Wernigerode.

domenica 17 gennaio 2010

"Le Donne Cornute", una fiaba di streghe irlandesi

Siamo davanti al Focolare, ma è un po' che non vi racconto una bella storia.
"Le Donne Cornute" è un racconto che ho trovato in un libro che mi fu regalato quand'ero bambina. Il libro s'intitola "Le dodici oche selvatiche" (Einaudi) ed è una selezione di racconti tratta da "Fiabe irlandesi", un'antologia curata dal grande William Butler Yeats.
Le Donne Cornute sono streghe ambigue, silenziose e sanguinarie tipiche della tradizione letteraria popolare. Ringrazio di non essere nata in un periodo in cui ai bambini vengono somministrate le fiabe sdolcinate e buoniste come "I racconti della Vecchina del Bosco", o le immagini edulcorate con cui spesso viene tratteggiata la strega in molte fiabe moderne, per renderla più digeribile agli occhi di tutti. E' vero, nella realtà di streghe ce ne sono di ogni specie, ma se nelle fiabe della mia infanzia esse non avessero avuto un aspetto così inquietante, probabilmente la magia non sarebbe stata così seducente ai miei occhi.
Cercherò di raccontarvi questa fiaba senza toglierle il fascino originale, ma anche senza violare le leggi del copyright.




Le Donne Cornute

La padrona di una ricca casa, dopo che tutti gli altri abitanti erano andati a dormire, era rimasta a vegliare accanto al focolare per preparare la lana da cardare. 
Mentre lavorava silenziosamente nella quiete della tarda ora, a un tratto sentì bussare alla porta, e una voce che gridava "Aprite! Aprite!". La donna non si mosse, e si limitò a chiedere "Chi è la?". "Sono la Strega a un Corno" rispose la voce.
La signora, pensando che fosse una vicina di casa che aveva bisogno di qualcosa, andò ad aprire la porta, e si trovò davanti una vecchia donna dall'aspetto alquanto strano: aveva un corno che le spuntava dal mezzo della fronte, e fra le mani dei pettini per cardare la lana.
Senza dire una parola, la vecchia scostò la signora, e sedutasi accanto al focolare cominciò a cardare furiosamente la lana. A un tratto si fermò e disse: "Dove sono le altre donne? Cominciano a tardare." Proprio in quel momento si sentì alla porta un altro forte bussare. Come la prima volta, una voce disse: "Aprite, aprite!".
La donna, incapace di opporsi a una misteriosa forza, si sentì costretta ad andare alla porta. Quando l'aprì apparve una seconda vecchia con due corni sulla fronte e in mano un arcolaio per filare la lana. "Sono la Strega a due Corni", disse questa, ed entrata nella stanza con un piglio deciso, si sedette di fianco alla prima strega e incominciò a filare a gran velocità.
Periodicamente i colpi alla porta continuarono a ripetersi, e ogni volta entrava nella casa una strana donna, che senza tanti complimenti andava a sedersi accanto alle altre finchè davanti al focolare sedevano dodici donne che lavoravano la lana: la prima con un corno, l'ultima con dodici corna sulla fronte.
Cantavano misteriose nenie e antichi versi, ma non rivolsero mai parola alla padrona di casa. Erano queste dodici donne strane a udirsi e spaventose a vedersi, con le loro corna e i loro arcolai. E la padrona, intanto, aveva scoperto di non riuscire a muoversi nè a proferir parola, e di non poter chiamare aiuto per liberarsi dal misterioso incantesimo con cui le streghe l'avevano vincolata.
A un tratto una di esse le si rivolse in gaelico e le ordinò: "Donna, alzati e preparaci una focaccia." La signora non riuscì a trovare in casa un recipiente adatto per portare l'acqua dal pozzo e impastare così la focaccia. Dissero le streghe: "Prendi un setaccio e portaci l'acqua con quello".
La donna prese un setaccio e si avviò al pozzo, ma per quanto cercava di riempire il setaccio, l'acqua continuava a fuoriuscire versandosi a terra. Così si sedette accanto al pozzo e pianse.
Dal fondo del pozzo uscì una voce che le disse: "Prendi muschio e bionda argilla e impastali assieme. Poi fodera il setaccio in modo che tenga." La donna fece ciò che le era stato detto. Poi la voce disse ancora: "Adesso torna, e quando arrivi al lato nord della casa dì ad alta voce: La montagna delle Donne di Fenian e il cielo sopra di essa sono in fiamme!"
La donna ubbidì. Al suo grido, la porta si spalancò e le streghe, con urla spaventose, si precipitarono fuori dalla casa e fuggirono verso Slievenamon strepitando e lamentandosi selvaggiamente. Ma lo Spirito del Pozzo chiamò a sè la padrona di casa e le insegnò il modo di sciogliere tutti gli incantesimi delle streghe, e tutte le precauzioni da prendere nel caso queste tornassero.
Per prima cosa, per spezzare l'incantesimo, sparse sulla soglia di casa l'acqua con cui aveva lavato i piedi del suo bambino; poi prese la focaccia che le megere avevano impastato con il sangue tolto agli abitanti durante il sonno, la sminuzzò e ne mise un pezzetto in bocca ad ogni membro della famiglia, così tutti tornarono a star bene; prese la stoffa che le Streghe avevano intessuto, e la mise in una cassapanca col lucchetto, in modo che sporgesse fuori per metà; infine sbarrò la porta d'entrata con una grossa trave, in modo che le vecchie non potessero più entrare. Poi aspettò.
Le Streghe non tardarono molto: erano furenti e cercavano vendetta.
"Apri, apri! Apri, Acqua dei Piedi!!!" urlavano davanti alla porta sbarrata. "Non posso!" disse l'Acqua dei Piedi, "sono sparsa per terra e il mio cammino va verso il Lago".
"Aprite, aprite! Legno, Alberi e Trave!!!" gridarono ancora le vecchie. "Non posso!" disse la porta, "perchè la trave sbarra l'entrata e io non ho la forza di muovermi!".
"Apri, apri! Focaccia che abbiamo impastato col sangue dei dormienti!". Rispose la focaccia: "Non posso! Sono stata fatta a pezzi e sbriciolata, e il sangue è ritornato nelle bocche dei bambini addormentati!"
Allora le Streghe, urlando, si lanciarono in volo fino a Slievenamon, e gettarono un'oscura maledizione allo Spirito del Pozzo che aveva voluto la loro rovina. Ma la donna e la sua casa furono lasciate in pace.
Un mantello caduto a una delle Streghe in volo fu raccolto e conservato dalla padrona di casa, e appeso a ricordare quella terribile notte di terrore. Da allora quella stessa famiglia continuò a custodire il mantello di generazione in generazione per altri cinquecento anni.

mercoledì 6 gennaio 2010

La Befana, un retaggio della Grande Madre


Se avete letto l'interessante articolo di Andrea Romanazzi ("La simbologia natalizia tra antichi rituali e tradizioni") che vi avevo indicato nel post sulle letture di Natale, avrete notato che nell'ultima parte si parla anche della Befana, figura emblematica in cui, pur con le debite trasformazioni moralistiche dettate dalla cultura cristiana, possiamo ancora riconoscere una delle rappresentazioni pagane della Madre Terra e dei rituali di fertilità e abbondanza a cui essa è legata dalla notte dei tempi.

Se siete interessati ad approfondire l'argomento e non avete ancora avuto occasione di dare un'occhiata a quell'articolo, vi consiglio caldamente di leggerlo ora.

Dal canto mio, leggendo "Entità fatate della Padania" di Alberta Dalbosco e  Carla Brughi, sono rimasta sorpresa dalla varietà di aspetti sotto cui la figura della Befana, questa via di mezzo fra un'antica dea, una fata e una strega, si presenta in varie località del nord-Italia, a seconda delle tradizioni folkloristiche di ogni zona.

Secondo le autrici di questo libro (incentrato sulle figure che popolano la fantasia dei contadini del nord-Italia), l'origine della Befana risale alla tradizione germanica, in cui vediamo la dea Frau Holle passare con il suo corteo di esseri fatati sopra i campi e le montagne, e presso le dimore degli uomini proprio nel periodo che va dal solstizio d'inverno al sei di gennaio, portando doni e abbondanza dove trovava una degna accoglienza, e disdegnando le case sporche e trasandate.

Ancora di recente la Befana è rappresentata nelle varie località come una creatura dai poteri soprannaturali.

Entità femminili legate agli antichi culti di fertilità le troviamo vicino a Brescia, sotto il nome di Bonae Res. Queste donne misteriose si aggiravano nella notte, chiedendo ospitalità nelle case dei villaggi, e a seconda dell'ospitalità che ricevevano, proprio come la Dea Frau Holle, portavano prosperità e abbondanza, o miseria e malasorte. Sempre nel bresciano c'era anche la "Donnina del Tetto", una vecchietta che si appollaiava sui tetti e spiava dalle finestre il comportamento degli abitanti delle case: probabilmente si ricorreva a questa leggenda per esortare i bambini ad essere obbedienti e ad andare a letto presto. 

Altre figure che ricordano molto da vicino la Befana sono le Borde, nel bolognese, che sorprendevano e disorientavano i viandanti con banchi di nebbia venuti dal nulla.

In Val Camonica troviamo una vecchietta piuttosto curiosa: la Mandola, che insieme al suo corteo di folletti spargeva per prati e boschi una polverina misteriosa in grado di far crescere i funghi porcini in gran quantità.

Nella provincia di Belluno si incontravano figure molto più paurose delle precedenti: le Donazze, megere che durante l'inverno uscivano dalle loro misteriose dimore, costituite da rocce e spelonche, per visitare le case dei montanari. Si appostavano presso le entrate urlando imperiose: "Deme da filà, se no ve fili le budele!!!". Ovviamente era premura degli abitanti della casa aprir loro la porta e dar subito alle vecchie la lana e tutto l'occorrente per filare.

Nel comasco abbiamo la Donnetta Grigia, anch'essa una figura piuttosto ambigua. In genere appariva di notte, presso le scale che conducevano alla cantina. Come le Bonae Res, se riceveva un trattamento degno si occupava della famiglia, vegliava sulle culle e teneva lontani i malanni. In caso contrario scatenava la sua rabbia terrificante e portava lo sfacelo.

In Veneto c'erano le Bele Butele, che durante il giorno si mostravano nel loro aspetto seducente di belle fanciulle, ma quando sendeva la sera diventavano vecchie orripilanti con zampe di cavallo o di capra.

Infine in Piemonte, nelle Langhe, la tradizione narra di una vecchia curandera, la Berghera, in grado di guarire tutte le malattie degli animali grazie alla conoscenza di erbe, unguenti e rituali particolari. Pare che non si potesse non restare incantati dalla sua saggezza, e mentre lei era all'opera i contadini la guardavano in silenzio e obbedivano alle sue richieste.

Un'ultima nota interessante: quand'ero alle medie avevo sentito la mia professoressa di italiano, una suora di origine milanese, pronunciare la parola gibigiana, riferendosi a un mio compagno che con il suo orologio le rifletteva in faccia il sole del primo pomeriggio. Poco tempo fa ho scoperto che perfino quel detto è un retaggio di antiche vestigia pagane, che indirettamente si legano ancora una volta alla Befana. Pare infatti che in certe regioni d'Italia le antiche divinità si mostrassero agli uomini durante le prime ore del pomeriggio, quando la luce del sole era più luminosa. 

Nel milanese ancora oggi, quando si vede il barluccichìo del sole pomeridiano sulle superfici riflettenti, si dice "Balla la vegia", e nel pavese quella stessa manifestazione è detta "veggia" o "gibigiana". E quando si parla di "veggia" molto spesso ci si riferisce alla Befana.

Quella stessa "Vecia" che in Veneto, in Friuli, nella Marca Trevigiana e in moltissime altre parti d'Italia viene bruciata il 6 di gennaio sotto forma di fantoccio, per rappresentare la fine dei rigori invernali e per propiziare una nuova stagione di abbondanza. 



La prima foto di questo post è di Juan José Rincón, tratta da Picasa, e s'intitola "Befana al lado del Adige". L'ultima foto è tratta dall'album di Talba su Flickr, e s'intitola "The witch-la vecia". Come sempre... grazie a tutti i fotografi che pubblicano le loro opere con la licenza "Creative Commons", e un grazie particolare a Talba, l'eccezionale fotografo dal cui album attingo più spesso.

lunedì 4 gennaio 2010

Visualizzare la neve per rallentare il ritmo e combattere l'ansia


-La Neve (versione originale)

-La Neve II (versione con variante)


Qui a Fontaneto oggi il cielo promette altra neve, e come al solito mi sento emozionata come una bambina in attesa della notte di Natale. 

Ho sempre trovato affascinante l'atmosfera quasi onirica che trasforma ogni paesaggio durante le nevicate. Anche il dopo è pittoresco, ma durante la nevicata un silenzio quasi irreale permea tutto l'ambiente circostante, e lo stesso clima si fa più gradevole (la temperatura si alza leggermente, l'umidità si abbassa): sembra quasi che il mondo intero si voglia prendere una pausa dal rigido freddo umido delle nostre parti e dal tran tran della vita quotidiana, dai pensieri e dalle preoccupazioni. Il tempo sembra fermarsi, e se non si ferma, perlomeno la neve sembra esortare l'universo a rallentare.

E' da queste sensazioni che l'anno scorso, in un altro periodo di grandi nevicate, aveva preso spunto la mia visualizzazione.

Il luogo in cui operiamo dev'essere abbastanza silenzioso e intimo.


La neve


A occhi chiusi immaginiamo di percorrere un sentiero fra i campi durante una nevicata. Ha nevicato durante la notte e sta nevicando ancora adesso.

Ci guardiamo intorno e vediamo come il paesaggio ci appare improvvisamente trasformato dal giorno prima: gli spazi e le distanze fra gli alberi e le case sembrano mutati, le sagome dei rami e degli arbusti si stagliano scuri e sottili in mezzo a tutto questo biancore. Ovattato è il suono dei nostri scarponi che affondano nella neve farinosa, ovattati sono i tonfi dei blocchi di neve che cadono dalle grondaie e dai rami, ovattati sono persino i latrati dei cani in qualche cascina lontana, o il richiamo di una poiana che vola in cerchio sui campi.  

Alziamo la faccia verso l'alto, e tiriamo fuori la lingua per catturare i fiocchi che, voluminosi e calmi, girando intorno intorno, scendono lentamente da quell'impenetrabile distesa di un color grigio metallico che è il cielo.

  Continuiamo a camminare fino a perderci. Non ci sono più case né latrati, ma solo boschi e radure innevate. Ora tutto è silenzio. Non sappiamo che ora è, perchè le ore in una giornata di neve hanno tutte la stessa luce. Vogliamo riposarci.

Arriviamo in un prato dove un ruscello ormai ghiacciato sembra adagiato sul terreno, immobile, come un nastro lucente posato sul terreno accidentato, e non fa più alcun rumore. Ci stendiamo lì vicino, nella distesa morbida invitante. Ci sentiamo sempre più rilassati, anche il nostro cuore rallenta, e forse anch'esso si fermerà. Poco c'importa.

Continuiamo a osservare il cielo immobile. Tutto è immobile, soltanto i grossi fiocchi continuano a vorticare. Guardiamo il vortice, guardiamo i fiocchi girare intorno a sé stessi, come in una spirale. Con la loro leggera consistenza li vediamo formare una coltre sempre più spessa che copre il mondo intero. Copre, rallenta, ferma. Ferma le ansie, ferma i sospetti, ferma le invidie, ferma le rabbie, ferma i turbamenti, ferma i dolori. Perdiamo la cognizione del tempo. Diventiamo tutt'uno con il resto di questo nuovo mondo innevato, silenzioso e immoto.

Restiamo in questo stato per un po' di tempo.

Un rumore ci sveglia. Un leggero rumore di acqua che scorre. E' il ruscello che ha ricominciato a camminare. Sentiamo un calore che pian piano risveglia le nostre membra, una ad una. Sentiamo di nuovo il sangue che lentamente ricomincia a fluire nelle nostre vene. Quando riapriamo gli occhi, il sole accecante nel cielo azzurrissimo di una giornata di vento ci abbaglia lo sguardo, ma ci dà un'energia nuova. La neve che ci ricopriva interamente si è quasi sciolta del tutto, e insieme a lei si sono sciolti i dolori, i turbamenti, le rabbie, le invidie, i sospetti, le ansie... e se ne sono andati, scorrendo via insieme all'acqua del ruscello.

Ci alziamo un po' goffi, ci stiracchiamo e ci incamminiamo in questa fredda, assolata, splendida giornata d'inverno.


Questa, con qualche piccola variazione, è la versione che scrissi all'inizio. Il mio amico Cordelo di Quart la lesse e la apprezzò molto, ma mi fece notare che, a metà circa della visualizzazione, l'utilizzo di figure come "perderci", "non sappiamo che ora è" e del "cuore che si fermerà" per chi soffre del dramma del controllo avrebbe potuto essere ansiogeno.

Forse perchè sono una che ama perdersi, forse perchè personalmente ho bisogno di visualizzazioni estreme per mutare il mio stato psicologico, un po' mi dispiaceva cambiare la mia versione originale... Però mi rendo conto che certe persone potrebbero trovare tutt'altro che rilassanti le immagini che ho proposto in quel punto (quello che ho scritto in corsivo). Perciò, per evitare interruzioni durante la visualizzazione, ve la ripropongo per intero con la variazione che propose lui. Scegliete quella che più fa al caso vostro.


La neve


A occhi chiusi immaginiamo di percorrere un sentiero fra i campi durante una nevicata. Ha nevicato durante la notte e sta nevicando ancora adesso.

Ci guardiamo intorno e vediamo come il paesaggio ci appare improvvisamente trasformato dal giorno prima: gli spazi e le distanze fra gli alberi e le case sembrano mutati, le sagome dei rami e degli arbusti si stagliano scuri e sottili in mezzo a tutto questo biancore. Ovattato è il suono dei nostri scarponi che affondano nella neve farinosa, ovattati sono i tonfi dei blocchi di neve che cadono dalle grondaie e dai rami, ovattati sono persino i latrati dei cani in qualche cascina lontana, o il richiamo di una poiana che vola in cerchio sui campi.  

Alziamo la faccia verso l'alto, e tiriamo fuori la lingua per catturare i fiocchi che, voluminosi e calmi, girando intorno intorno, scendono lentamente da quell'impenetrabile distesa di un color grigio metallico che è il cielo.

 

Continuiamo a camminare fino ad abbandonarci ed essere tutt'uno con il paesaggio. Non ci sono più case né latrati, ma solo boschi e radure innevate in cui tutto è silenzio. Poco importa sapere che ora sia, le ore in una giornata di neve hanno tutte la stessa luce e lo stesso ritmo rallentato. Pian piano ci abbandoniamo alla bellezza che ci circonda, arriviamo in un prato dove un ruscello ghiacciato sembra giacere lì immobile, e non fa più alcun rumore. Ci fermiamo lì vicino, siamo sempre più rilassati, anche il nostro cuore rallenta, fino ad un battito 
impercettibile.

Continuiamo a osservare il cielo immobile. Tutto è immobile, soltanto i grossi fiocchi continuano a vorticare. Guardiamo il vortice, guardiamo i fiocchi girare intorno a sé stessi, come in una spirale. Con la loro leggera consistenza li vediamo formare una coltre sempre più spessa che copre il mondo intero. Copre, rallenta, ferma. Ferma le ansie, ferma i sospetti, ferma le invidie, ferma le rabbie, ferma i turbamenti, ferma i dolori. Perdiamo la cognizione del tempo, diventiamo tutt'uno con il resto di questo nuovo mondo innevato, silenzioso e immoto.

Restiamo in questo stato per un po' di tempo.

Un rumore ci sveglia. Un leggero rumore di acqua che scorre. E' il ruscello che ha ricominciato a camminare. Sentiamo un calore che pian piano risveglia le nostre membra, una ad una. Sentiamo di nuovo il sangue che lentamente ricomincia a fluire nelle nostre vene. Quando riapriamo gli occhi, il sole accecante nel cielo azzurrissimo di una giornata di vento ci abbaglia lo sguardo, ma ci dà un'energia nuova. La neve che ci ricopriva interamente si è quasi sciolta del tutto, e insieme a lei si sono sciolti i dolori, i turbamenti, le rabbie, le invidie, i sospetti, le ansie... e se ne sono andati, scorrendo via insieme all'acqua del ruscello.

Ci alziamo un po' goffi, ci stiracchiamo e ci incamminiamo in questa fredda, assolata, splendida giornata d'inverno.





La prima immagine di questo post è di Talba, scaricata da Flickr, e s'intitola "Ski tracks - Le piste degli sci". Tutte le altre immagini, dalla seconda in poi, provengono da Picasa. La seconda è di Igor Mapelli e s'intitola "Prima sciata a Cogne". La terza è di Lorenzo, ed è taggata"Neve, dicembre 2009". La quarta è di Anna8 ed è taggata "Neve". La quinta è di Cristiano ed è taggata "Neve". La sesta è di Pettorino ed è taggata "Vipiteno". L'ultima è di Gunther78, ed è taggata "Winter 2009 (9)".

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